Ýëåêòðîííàÿ áèáëèîòåêà
Ôîðóì - Çäîðîâûé îáðàç æèçíè
Àêóïóíêòóðà, Àþðâåäà Àðîìàòåðàïèÿ è ýôèðíûå ìàñëà,
Êîíñóëüòàöèè ñïåöèàëèñòîâ:
Ðýéêè; Ãîìåîïàòèÿ; Íàðîäíàÿ ìåäèöèíà; Éîãà; Ëåêàðñòâåííûå òðàâû; Íåòðàäèöèîííàÿ ìåäèöèíà; Äûõàòåëüíûå ïðàêòèêè; Ãîðîñêîï; Ïðàâèëüíîå ïèòàíèå Ýçîòåðèêà


1. Come and? che Maestro Ciliegia, falegname, trov? un pezzo di legno, che piangeva e rideva come un bambino

C’era una volta[1] un pezzo di legno.

Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, che d’inverno si mettono nelle stufe per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.

Non so come andasse[2], ma un bel giorno questo pezzo di legno capit? nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome Mastr’Antonio, se non che[3] tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via[4] della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.

Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegr? tutto; e borbott? a mezza voce:

– Questo legno ? capitato a tempo[5]; voglio fare una gamba di tavolino.

Detto fatto[6], prese subito l’ascia arrotata per cominciare a levargli la scorza e a digrossarlo; ma quando fu l? per lasciare andare la prima asciata, rimase col braccio sospeso in aria, perch? sent? una vocina sottile sottile, che disse raccomandandosi:

– Non mi picchiar tanto forte!

Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia!

Gir? gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non vide nessuno! Guard? sotto il banco, e nessuno; guard? dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; guard? nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; apr? l’uscio di bottega per dare un’occhiata[7] anche sulla strada, e nessuno. O dunque?…

– Ho capito; – disse allora ridendo e grattandosi la parrucca – si vede che quella vocina me la sono figurata io[8]. Rimettiamoci a lavorare.

E ripresa l’ascia in mano, tir? gi? un solennissimo colpo sul pezzo di legno.

– Ohi! tu m’hai fatto male! – grid? rammaricandosi la solita vocina.

Questa volta maestro Ciliegia rest? di stucco, con gli occhi fuori del capo per la paura, con la bocca spalancata e con la lingua gi? ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana.

Appena riebbe l’uso della parola, cominci? a dire:

– Ma di dove sar? uscita questa vocina che ha detto ohi?… Eppure qui non c’? anima viva. Che sia per caso questo pezzo di legno che abbia imparato a piangere e a lamentarsi come un bambino? Questo legno eccolo qui; ? un pezzo di legno come tutti gli altri, e a buttarlo sul fuoco… Se c’? nascosto qualcuno, tanto peggio per lui.

E cos? dicendo, agguant? con tutte e due le mani quel povero pezzo di legno, e si pose a sbatacchiarlo senza carit? contro le pareti della stanza.

Poi si messe in ascolto[9], per sentire se c’era qualche vocina che si lamentasse. Aspett? due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla; dieci minuti, e nulla!

– Ho capito; – disse allora arruffandosi la parrucca – si vede che quella vocina che ha detto ohi, me la sono figurata io! Rimettiamoci a lavorare.

E perch? gli era entrata addosso una gran paura, si prov? a canterellare per farsi un po’ di coraggio.

Intanto, posata da una parte l’ascia, prese in mano la pialla, per piallare e tirare a pulimento il pezzo di legno; ma nel mentre che lo piallava in su e in gi?, sent? la solita vocina che gli disse ridendo:

– Smetti! tu mi fai il pizzicorino sul corpo!

Questa volta il povero maestro Ciliegia cadde gi? come fulminato. Quando riapr? gli occhi, si trov? seduto per terra.

Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di paonazza come era quasi sempre, gli era diventata turchina dalla gran paura.

2. Maestro Ciliegia regala il pezzo di legno al suo amico Geppetto, il quale lo prende per fabbricarsi un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali

In quel punto fu bussato alla porta.

– Passate pure, – disse il falegname, senza aver la forza di rizzarsi in piedi.

Allora entr? in bottega un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto; ma i ragazzi del vicinato lo chiamavano col soprannome di Polendina, a motivo della sua parrucca gialla, che somigliava moltissimo alla polendina di granturco.

Geppetto era bizzosissimo. Guai a chiamarlo Polendina! Diventava subito una bestia, e non c’era pi? verso di tenerlo.

– Buon giorno, mastr’Antonio, – disse Geppetto. – Che cosa fate cost? per terra?

– Insegno l’abbaco alle formicole.

– Buon pro vi faccia.

– Chi vi ha portato da me, compare Geppetto?

– Le gambe. Sappiate, mastr’Antonio, che son venuto da voi, per chiedervi un favore.

– Eccomi qui, pronto a servirvi, – replic? il falegname, rizzandosi su i ginocchi.

– Stamani m’? piovuta nel cervello un’idea[10].

– Sentiamola.

– Ho pensato di fabbricare un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare?

– Bravo Polendina! – grid? la solita vocina.

A sentirsi chiamar Polendina, compar Geppetto divent? rosso come un peperone dalla bizza, e voltandosi verso il falegname, gli disse imbestialito:

– Perch? mi offendete?

– Chi vi offende?

– Mi avete detto Polendina!..

– Non sono stato io.

– Sta’ un po’ a vedere che sar? stato io! Io dico che siete stato voi.

– No!

– S?!

– No!

– S?!

E riscaldandosi sempre pi?, vennero dalle parole ai fatti, e acciuffatisi fra di loro, si graffiarono e si morsero.

Finito il combattimento, mastr’Antonio si trov? fra le mani la parrucca gialla di Geppetto, e Geppetto si accorse di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname.

– Rendimi la mia parrucca! – grid? mastr’Antonio.

– E tu rendimi la mia, e rifacciamo la pace.

I due vecchietti strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita.

– Dunque, compar Geppetto, – disse il falegname in segno di pace fatta – qual ? il piacere che volete da me?

– Vorrei un po’ di legno per fabbricare il mio burattino; me lo date?

Mastr’Antonio, tutto contento, and? subito a prendere sul banco quel pezzo di legno. Ma quando fu l? per consegnarlo all’amico, il pezzo di legno dette uno scossone e and? a battere con forza negli stinchi del povero Geppetto.

– Ah! gli ? con questo bel garbo, mastr’Antonio, che voi regalate la vostra roba? M’avete quasi azzoppito!..

– Vi giuro che non sono stato io!

– Allora sar? stato io!..

– La colpa ? tutta di questo legno…

– Lo so che ? del legno: ma siete voi che me l’avete tirato nelle gambe!

– Io non ve l’ho tirato!

– Bugiardo!

– Geppetto non mi offendete; se no vi chiamo Polendina!..

– Asino!

– Polendina!

– Somaro!

– Polendina!

A sentirsi chiamar Polendina, Geppetto si avvent? sul falegname.

A battaglia finita, mastr’Antonio si trov? due graffi di pi? sul naso, e quell’altro due bottoni di meno al giubbetto. Pareggiati in questo modo i loro conti, si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita.

Intanto Geppetto prese con s? il suo bravo pezzo di legno, e ringraziato mastr’Antonio, se ne torn? zoppicando a casa.

3. Geppetto, tornato a casa, comincia subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio. Prime monellerie del burattino

La casa di Geppetto era una stanzina terrena. La mobilia non poteva essere pi? semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo.

Appena entrato in casa, Geppetto prese subito gli arnesi e si pose a intagliare e a fabbricare il suo burattino.

– Che nome gli metter?? – disse fra s? e s?[11]. – Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porter? fortuna.

Quando ebbe trovato il nome al suo burattino, allora cominci? a lavorare, e gli fece subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi.

Fatti gli occhi, figuratevi la sua meraviglia quando si accorse che gli occhi si movevano e che lo guardavano.

Geppetto disse con accento risentito:

– Occhiacci di legno, perch? mi guardate?

Nessuno rispose.

Allora, dopo gli occhi, gli fece il naso; ma il naso, appena fatto, cominci? a crescere: e cresci, cresci, cresci, divent? in pochi minuti un nasone.

Il povero Geppetto si affaticava a ritagliarlo; ma pi? lo ritagliava e lo scorciva, e pi? quel naso impertinente diventava lungo.

Dopo il naso gli fece la bocca.

La bocca non era ancora finita di fare, che cominci? subito a ridere e a canzonarlo.

– Smetti di ridere! – disse Geppetto impermalito; ma fu come dire al muro.

– Smetti di ridere, ti ripeto! – url? con voce minacciosa.

Allora la bocca smesse di ridere, ma cacci? fuori tutta la lingua.

Geppetto, per non guastare i fatti suoi, finse di non avvedersene, e continu? a lavorare.

Dopo la bocca, gli fece il mento, poi il collo, poi le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani.

Appena finite le mani, Geppetto sent? portarsi via la parrucca dal capo. Si volt? in su e che cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano del burattino.

– Pinocchio!.. rendimi subito la mia parrucca!

E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, se la messe in capo per s?.

A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece tristo e voltandosi verso Pinocchio, gli disse:

– Non sei ancora finito di fare, e gi? cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!

E si rasciug? una lacrima.

Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sent? arrivarsi un calcio sulla punta del naso.

– Me lo merito! – disse allora fra s?. – Dovevo pensarci prima! Oramai ? tardi!

Poi prese il burattino sotto le braccia e lo pos? in terra, per farlo camminare.

Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva muoversi, e Geppetto lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro.

Quando le gambe gli si furono sgranchite, Pinocchio cominci? a camminare da s? e a correre per la stanza; finch?, infilata la porta di casa, salt? nella strada e si dette a scappare.

E il povero Geppetto a corrergli dietro senza poterlo raggiungere, perch? quel birichino di Pinocchio andava a salti, e battendo i suoi piedi di legno sul lastrico della strada, faceva un fracasso, come venti paia di zoccoli da contadini.

– Piglialo! piglialo! – urlava Geppetto; ma la gente che era per la via, vedendo questo burattino di legno, si fermava incantata a guardarlo, e rideva, rideva e rideva.

Alla fine capit? un carabiniere il quale, si piant? coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada, coll’animo risoluto[12] di fermarlo e d’impedire il caso di maggiori disgrazie.

Ma Pinocchio, quando si avvide da lontano del carabiniere, che barricava tutta la strada, s’ingegn? di passargli, per sorpresa, framezzo alle gambe, e invece fece fiasco.

Il carabiniere lo acciuff? per il naso e lo riconsegn? nelle proprie mani di Geppetto; il quale voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi. Ma figuratevi come rimase quando non gli riusc? di poterli trovare: e sapete perch?? perch? si era dimenticato di farglieli.

Allora lo prese per la collottola, e gli disse tentennando minacciosamente il capo:

– Andiamo subito a casa. Quando saremo a casa, non dubitare che faremo i nostri conti[13]!

Pinocchio, a questa antifona, si butt? per terra, e non volle pi? camminare. Intanto i curiosi e i bighelloni principiavano a fermarsi l? dintorno e a far capannello[14].

Chi ne diceva una, chi un’altra[15].

– Povero burattino! – dicevano alcuni – ha ragione a non voler tornare a casa! Chi lo sa come lo piccherebbe quell’omaccio di Geppetto!..

E gli altri soggiungevano:

– Quel Geppetto pare un galantuomo! ma ? un vero tiranno coi ragazzi!

Insomma, il carabiniere rimesse in libert? Pinocchio, e condusse in prigione quel pover’uomo di Geppetto. Il quale, non avendo parole l? per l?[16] per difendersi, piangeva come un vitellino, e nell’avviarsi verso il carcere, balbettava:

– Sciagurato figliolo! E pensare che ho penato tanto a farlo un burattino per bene! Ma mi sta il dovere! Dovevo pensarci prima!..

Quello che accadde dopo, ? una storia cos? strana da non potersi quasi credere, e ve la racconter? in quest’altri capitoli.

4. La storia di Pinocchio col Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noia di sentirsi correggere da chi ne sa pi? di loro

Vi dir? dunque, ragazzi, che mentre il povero Geppetto era condotto senza sua colpa in prigione, quel monello di Pinocchio se la dava a gambe gi? attraverso ai campi, per far pi? presto a tornarsene a casa; e nella gran furia del correre saltava greppi altissimi, siepi di pruni e fossi pieni d’acqua, tale e quale[17] come avrebbe potuto fare un capretto inseguito dai cacciatori.



Giunto dinanzi a casa, trov? l’uscio di strada socchiuso. Lo spinse, entr? dentro, e appena ebbe messo tanto di paletto, si gett? a sedere per terra, lasciando andare un gran sospirone di contentezza.

Ma quella contentezza dur? poco, perch? sent? nella stanza qualcuno che fece:

– Cr?-cr?-cr?!

– Chi ? che mi chiama? – disse Pinocchio tutto impaurito.

– Sono io!

Pinocchio si volt?, e vide un grosso grillo che saliva lentamente per il muro.

– Dimmi, Grillo, e tu chi sei?

– Io sono il Grillo-parlante, e abito in questa stanza da pi? di cent’anni.

– Oggi per? questa stanza ? mia, – disse il burattino – e se vuoi farmi un vero piacere, vattene subito.

– Io non me ne ander? di qui, – rispose il Grillo – se prima non ti avr? detto una gran verit?.

– Dimmela e spicciati.

– Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori, e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente.

– Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che domani, all’alba, voglio andarmene di qui, perch? se rimango qui, avverr? a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire[18] mi manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccher? a studiare; e io di studiare non ne ho punto voglia.

– Povero grullerello! Ma non sai che diventerai da grande un bellissimo somaro?

– Chetati, Grillaccio del mal’augurio! – grid? Pinocchio.

Ma il Grillo invece di aversi a male di questa impertinenza, continu? con lo stesso tono di voce:

– E se non ti garba di andare a scuola, perch? non impari almeno un mestiere, tanto da guadagnarti onestamente un pezzo di pane?

– Vuoi che te lo dica? – replic? Pinocchio, che cominciava a perdere la pazienza. – Fra i mestieri del mondo non ce n’? che uno solo[19] che veramente mi vada a genio[20].

– E questo mestiere sarebbe?

– Quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo.

– Per tua regola – disse il Grillo-parlante con la sua solita calma – tutti quelli che fanno codesto mestiere, finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione.

– Bada, Grillaccio del mal’augurio!..

– Povero Pinocchio! mi fai proprio compassione!..

– Perch? ti faccio compassione?

– Perch? sei un burattino e, quel che ? peggio, perch? hai la testa di legno.

A queste ultime parole, Pinocchio salt? su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno, lo scagli? contro il Grillo-parlante.

Forse non credeva nemmeno di colpirlo; ma lo colse per l’appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe appena il fiato di fare cr?-cr?-cr?, e poi rimase l? stecchito e appiccicato alla parete.

5. Pinocchio ha fame e cerca un uovo per farsi una frittata; ma sul pi? bello, la frittata gli vola via dalla finestra

Intanto cominci? a farsi notte[21], e Pinocchio, ricordandosi che non aveva mangiato nulla, sent? un’uggiolina allo stomaco.

Ma l’appetito nei ragazzi cammina presto, e dopo pochi minuti, l’appetito divent? fame, e la fame si convert? in una fame da lupi.

Il povero Pinocchio corse subito al focolare, dove c’era una pentola che bolliva, e fece l’atto di scoperchiarla, per vedere che cosa ci fosse dentro: ma la pentola era dipinta sul muro. Immaginatevi come rest?. Il suo naso, che era gi? lungo, gli divent? pi? lungo almeno quattro dita.

Allora si dette a correre per la stanza e a frugare per tutte le cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po’ di pane, magari un po’ di pan secco, un crosterello, un po’ di polenta muffita, una lisca di pesce, un nocciolo di ciliegia, insomma qualche cosa da masticare: ma non trov? nulla, proprio nulla.

E intanto la fame cresceva: e il povero Pinocchio non aveva altro sollievo che quello di sbadigliare, e faceva degli sbadigli cos? lunghi, che qualche volta la bocca gli arrivava fino agli orecchi..

Allora piangendo, diceva:

– Il Grillo-parlante aveva ragione. Ho fatto male a rivoltarmi al mio babbo e a fuggire di casa… Oh! che brutta malattia ? la fame!

Quand’ecco che gli parve di vedere nel monte della spazzatura qualche cosa di tondo e di bianco, che somigliava a un uovo di gallina. Era un uovo davvero.

La gioia del burattino ? impossibile descriverla. Si rigirava quest’uovo fra le mani, e lo toccava e lo baciava, e baciandolo diceva:

– E ora come dovr? cuocerlo? Ne far? una frittata!.. No, ? meglio cuocerlo nel piatto!.. O non sarebbe pi? saporito se lo friggessi in padella? No, la pi? lesta di tutte ? di cuocerlo nel piatto o nel tegamino: ho troppo voglia di mangiarmelo!

Detto fatto, pose un tegamino sopra un caldano pieno di brace accesa: messe nel tegamino, invece d’olio o di burro, un po’ d’acqua: e quando l’acqua principi? a fumare, tac!.. spezz? il guscio dell’uovo.

Ma invece della chiara e del torlo scapp? fuori un pulcino tutto allegro e complimentoso, il quale facendo una bella riverenza disse:

– Mille grazie, signor Pinocchio, d’avermi risparmiata la fatica di rompere il guscio! Arrivedella, stia bene e tanti saluti a casa!

Ci? detto, distese le ali, e se ne vol? via.

Il povero burattino rimase l?, come incantato, cogli occhi fissi, colla bocca aperta e coi gusci dell’uovo in mano. Riavutosi, peraltro, dal primo sbigottimento, cominci? a piangere, e piangendo diceva:

– Eppure il Grillo-parlante aveva ragione! Se non fossi scappato di casa e se il mio babbo fosse qui, ora non mi troverei a morire di fame! Oh! che brutta malattia ? la fame!..

E perch? il corpo gli seguitava a brontolare pi? che mai[22], e non sapeva come fare a chetarlo, pens? di uscir di casa e di dare una scappata al paesello vicino, nella speranza di trovare qualche persona caritatevole, che gli facesse l’elemosina di un po’ di pane.

6. Pinocchio si addormenta coi piedi sul caldano, e la mattina dopo si sveglia coi piedi tutti bruciati

Per l’appunto[23] era una notte d’inferno. Tonava forte forte, lampeggiava come se il cielo pigliasse fuoco, e un ventaccio freddo e strapazzone, fischiando rabbiosamente e sollevando un immenso nuvolo di polvere, faceva stridere e cigolare tutti gli alberi della campagna.

Pinocchio aveva una gran paura dei tuoni e dei lampi: se non che la fame era pi? forte della paura: motivo per cui accost? l’uscio di casa, e presa la carriera, in un centinaio di salti arriv? fino al paese, con la lingua fuori e con il fiato grosso.

Ma trov? tutto buio e tutto deserto. Le botteghe erano chiuse; le porte di casa chiuse; le finestre chiuse. Pareva il paese dei morti.

Allora Pinocchio si attacc? al campanello d’una casa, e cominci? a sonare a distesa, dicendo dentro di s?:

– Qualcuno si affaccer?.

Difatti si affacci? un vecchino, col berretto da notte in capo, il quale grid? tutto stizzito:

– Che cosa volete a quest’ora?

– Che mi fareste il piacere di darmi un po’ di pane?

– Aspettami cost? che torno subito, – rispose il vecchino, credendo di avere da fare con qualcuno di quei ragazzacci che si divertono di notte a sonare i campanelli delle case, per molestare la gente per bene[24].

Dopo mezzo minuto la finestra si riapr?, e la voce del solito vecchino grid? a Pinocchio:

– Fatti sotto e para il cappello.

Pinocchio si lev? subito il suo cappelluccio; ma mentre faceva l’atto di pararlo, sent? pioversi addosso un’enorme catinella d’acqua che lo annaffi? tutto dalla testa ai piedi, come se fosse un vaso di geranio appassito.

Torn? a casa bagnato come un pulcino e rifinito dalla stanchezza e dalla fame: e perch? non aveva pi? forza da reggersi ritto, si pose a sedere, appoggiando i piedi fradici sopra un caldano pieno di brace accesa.

E l? si addorment?; e nel dormire, i piedi che erano di legno gli presero fuoco, e adagio adagio gli si carbonizzarono e diventarono cenere.

E Pinocchio seguitava a dormire e a russare, come se i suoi piedi fossero quelli d’un altro. Finalmente sul far del giorno[25] si svegli?, perch? qualcuno aveva bussato alla porta.

– Chi ?? – domand? sbadigliando e stropicciandosi gli occhi.

– Sono io! – rispose una voce.

Quella voce era la voce di Geppetto.

7. Geppetto torna a casa, e d? al burattino la colazione che il pover’uomo aveva portata per s?

Il povero Pinocchio, che aveva sempre gli occhi fra il sonno, non s’era ancora avvisto dei piedi che gli si erano tutti bruciati: per cui appena sent? la voce di suo padre, schizz? gi? dallo sgabello per correre a tirare il paletto; ma invece, dopo due o tre traballoni, cadde di picchio tutto lungo disteso sul pavimento.

– Aprimi! – intanto gridava Geppetto.

– Babbo mio, non posso – rispondeva il burattino piangendo.

– Perch? non puoi?

– Perch? mi hanno mangiato i piedi.

– E chi te li ha mangiati?

– Il gatto – disse Pinocchio, vedendo il gatto che colle zampe davanti si divertiva a far ballare alcuni trucioli di legno.

– Aprimi, ti dico! – ripet? Geppetto – se no, quando vengo in casa, il gatto te lo do io!

– Non posso star ritto, credetelo. Oh! povero me! povero me, che mi toccher? a camminare coi ginocchi per tutta la vita!..

Geppetto arrampicatosi su per il muro, entr? in casa dalla finestra.

Quando vide il suo Pinocchio sdraiato in terra e rimasto senza piedi davvero, allora sent? intenerirsi; e presolo subito in collo, si dette a baciarlo e a fargli mille moine, e gli disse singhiozzando:

– Pinocchiuccio mio! Com’? che ti sei bruciato i piedi?

– Non lo so, babbo, ma credetelo che ? stata una notte d’inferno. Tonava, e io avevo una gran fame, e allora il Grillo-parlante mi disse: “Ti sta bene: sei stato cattivo, e te lo meriti” e io gli dissi: “Bada, Grillo!..” e lui mi disse: “Tu sei un burattino e hai la testa di legno” e io gli tirai un manico di martello, e lui mor?, ma la colpa fu sua, perch? io non volevo ammazzarlo, prova ne sia che messi un tegamino sulla brace accesa del caldano, ma il pulcino scapp? fuori e disse: “Arrivedella… e tanti saluti a casa.” E la fame cresceva sempre, motivo per cui quel vecchino col berretto da notte, affacciandosi alla finestra mi disse: “Fatti sotto e para il cappello” e io con quella catinellata d’acqua sul capo, perch? il chiedere un po’ di pane non ? vergogna, non ? vero? me ne tornai subito a casa, e perch? avevo sempre una gran fame, messi i piedi sul caldano per rasciugarmi, e voi siete tornato, e me li sono trovati bruciati, e intanto la fame l’ho sempre e i piedi non li ho pi?!

E il povero Pinocchio cominci? a piangere e a berciare.

Geppetto tir? fuori di tasca tre pere, e porgendogliele, disse:

– Queste tre pere erano la mia colazione: ma io te le do volentieri. Mangiale, e buon pro ti faccia[26].

– Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle.

– Sbucciarle? – replic? Geppetto meravigliato. – Non avrei mai creduto, ragazzo mio, che tu fossi cos? schizzinoso di palato. Male! In questo mondo, fin da bambini, bisogna avvezzarsi abboccati e a saper mangiar di tutto, perch? non si sa mai quel che ci pu? capitare. I casi son tanti!..

– Voi direte bene – soggiunse Pinocchio – ma io non manger? mai una frutta, che non sia sbucciata. Le bucce non le posso soffrire.

E quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino, e sbucci? le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un angolo della tavola.

Quando Pinocchio in due bocconi ebbe mangiata la prima pera, fece l’atto di buttar via il torsolo: ma Geppetto gli trattenne il braccio, dicendogli:

– Non lo buttar via: tutto in questo mondo pu? far comodo[27].

– Ma io il torsolo non lo mangio davvero!.. – grid? il burattino.

– Chi lo sa! I casi son tanti!.. – ripet? Geppetto.

Fatto sta che i tre torsoli, invece di esser gettati fuori dalla finestra, vennero posati sull’angolo della tavola in compagnia delle bucce.

Mangiate le tre pere, Pinocchio fece un lunghissimo sbadiglio e disse:

– Ho dell’altra fame!

– Ma io, ragazzo mio, non ho pi? nulla da darti.

– Proprio nulla, nulla?

– Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera.

– Pazienza![28] – disse Pinocchio, – se non c’? altro, manger? una buccia.

E cominci? a masticare. Da principio storse un po’ la bocca: ma poi una dietro l’altra, spolver? in un soffio[29] tutte le bucce: e dopo le bucce anche i torsoli, e quand’ebbe finito di mangiare ogni cosa, si batt? tutto contento le mani sul corpo, e disse gongolando:

– Ora s? che sto bene!

– Vedi dunque – osserv? Geppetto – che avevo ragione io quando ti dicevo che non bisogna avvezzarsi troppo delicati di palato. Caro mio, non si sa mai quel che ci pu? capitare in questo mondo. I casi son tanti!!..

8. Geppetto rifece i piedi a Pinocchio, e vende la propria casacca per comprargli l’Abbecedario

Il burattino, appena che si fu levata la fame, cominci? subito a piangere, perch? voleva un paio di piedi nuovi.

Ma Geppetto, per punirlo della monelleria fatta, lo lasci? piangere e disperarsi per una mezza giornata: poi gli disse:

– E perch? dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappar di nuovo da casa tua?

– Vi prometto – disse il burattino – che da oggi in poi[30] sar? buono…

– Tutti i ragazzi – replic? Geppetto – quando vogliono ottenere qualcosa, dicono cos?.

– Vi prometto che ander? a scuola, studier? e mi far? onore…

– Tutti i ragazzi, quando vogliono ottenere qualcosa, ripetono la medesima storia.

– Ma io non sono come gli altri ragazzi! Io sono pi? buono di tutti. Vi prometto, babbo, che imparer? un’arte, e che sar? la consolazione e il bastone della vostra vecchiaia.

Geppetto che aveva gli occhi pieni di pianto e il cuore grosso dalla passione nel vedere il suo povero Pinocchio in quello stato compassionevole, non rispose altre parole: ma, presi in mano gli arnesi del mestiere e due pezzetti di legno stagionato, si pose a lavorare di grandissimo impegno.

E in meno d’un’ora, i piedi erano fatti: due piedini svelti e asciutti.

Allora Geppetto disse al burattino:

– Chiudi gli occhi e dormi!

E Pinocchio chiuse gli occhi e fece finta di dormire. E nel tempo che si fingeva addormentato, Geppetto con un po’ di colla sciolta in un guscio d’uovo gli appiccic? i due piedi al loro posto, e glieli appiccic? cos? bene, che non si vedeva nemmeno il segno dell’attaccatura.

Appena il burattino si accorse di avere i piedi, salt? gi? dalla tavola dove stava disteso.

– Per ricompensarvi di quanto avete fatto per me – disse Pinocchio al suo babbo – voglio subito andare a scuola.

– Bravo ragazzo.

– Ma per andare a scuola ho bisogno d’un po’ di vestito.

Geppetto, che era povero e non aveva in tasca nemmeno un centesimo, gli fece allora un vestito di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza d’albero e un berretto di midolla di pane.

Pinocchio corse subito a specchiarsi in una catinella piena d’acqua e rimase cos? contento di s?, che disse:

– Paio proprio un signore!

– Davvero, – replic? Geppetto – ma non ? il vestito bello che fa il signore, ma ? piuttosto il vestito pulito.

– A proposito, – soggiunse il burattino – per andare alla scuola mi manca sempre qualcosa.

– Cio??

– Mi manca l’Abbecedario.

– Hai ragione: ma come si fa per averlo?

– ? facilissimo: si va da un libraio e si compra.

– E i quattrini?

– Io non ce l’ho.

– Nemmeno io – soggiunse il vecchio, facendosi tristo.

E Pinocchio si fece tristo anche lui: perch? la miseria, la intendono tutti: anche i ragazzi.

– Pazienza! – grid? Geppetto rizzandosi in piedi; e infilatasi la vecchia casacca di frustagno, usc? correndo di casa.

Dopo poco torn?: e quando torn?, aveva in mano l’Abbecedario per il figliolo, ma la casacca non l’aveva pi?. Il pover’uomo era in maniche di camicia[31], e fuori nevicava.

– E la casacca, babbo?

– L’ho venduta.

– Perch? l’avete venduta?

– Perch? mi faceva caldo.

Pinocchio cap? questa risposta a volo[32], e non potendo frenare l’impeto del suo buon cuore, salt? al collo di Geppetto e cominci? a baciarlo per tutto il viso.

9. Pinocchio vende l’Abbecedario per andare a vedere il teatrino dei burattini

Smesso che fu di nevicare, Pinocchio, col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava mille ragionamenti e mille castelli in aria uno pi? bello dell’altro.

E discorrendo da s? solo, diceva:

– Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani imparer? a scrivere, e domani l’altro imparer? a fare i numeri. Poi, colla mia abilit?, guadagner? molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca di panno. E quel pover’uomo se la merita davvero: perch?, insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, ? rimasto in maniche di camicia… a questi freddi!

Mentre tutto commosso diceva cos?, gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di gran cassa: p?-p?-p?, p?-p?-p?, zum, zum, zum, zum.

Si ferm? e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paese fabbricato sulla spiaggia del mare.

– Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no… – E rimase l? perplesso. A ogni modo[33], bisognava prendere una risoluzione: o a scuola, o a sentire i pifferi.

– Oggi ander? a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’? sempre tempo – disse finalmente quel monello, facendo una spallucciata.

Detto fatto, infil? gi? per la strada traversa e cominci? a correre a gambe. Pi? correva e pi? sentiva distinto il suono dei pifferi e dei tonfi della grancassa: p?-p?-p?, p?-p?-p?, p?-p?-p?, zum, zum, zum, zum.

Quando si trov? in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori.

– Che cos’? quel baraccone? – domand? Pinocchio, voltandosi a un ragazzetto.

– Leggi il cartello, che c’? scritto, e lo saprai.

– Lo leggerei volentieri, ma per l’appunto oggi non so leggere.

– Bravo bue! Allora te lo legger? io. In quel cartello a lettere rosse come il fuoco, c’? scritto: GRAN TEATRO DEI BURATTINI…

– ? molto che[34] ? incominciata la commedia?

– Comincia ora.

– E quanto si spende per entrare?

– Quattro soldi.

Pinocchio, che aveva addosso la febbre della curiosit?, perse ogni ritegno e disse, senza vergognarsi, al ragazzetto:

– Mi daresti quattro soldi fino a domani?

– Te li darei volentieri – gli rispose l’altro canzonandolo – ma oggi per l’appunto non te li posso dare.

– Per quattro soldi, ti vendo la mia giacchetta – gli disse allora il burattino.

– Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piove su, non c’? pi? verso di cavarsela da dosso.

– Vuoi comprare le mie scarpe?

– Sono buone per accendere il fuoco.

– Quanto mi dai del berretto?

– Bell’acquisto davvero! Un berretto di midolla di pane!

Pinocchio era sulle spine[35]. Stava l? l?[36] per fare un’ultima offerta: ma non aveva coraggio. Alla fine disse:

– Vuoi darmi quattro soldi di quest’Abbecedario nuovo?

– Io sono un ragazzo, e non compro nulla dai ragazzi – gli rispose il suo piccolo interlocutore, che aveva pi? giudizio di lui.

– Per quattro soldi l’Abbecedario lo prendo io – grid? un rivenditore di panni usati, che s’era trovato presente alla conversazione.

E il libro fu venduto su due piedi[37]. E pensare che quel pover’uomo di Geppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo, per comprare l’Abbecedario al figliolo!

10. I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio, e gli fanno una grandissima festa; ma sul pi? bello, esce fuori il burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre il pericolo di fare una brutta fine

Quando Pinocchio entr? nel teatrino delle marionette, accadde un fatto che dest? una rivoluzione.

Bisogna sapere che il sipario era tirato su e la commedia era gi? incominciata.

Sulla scena si vedevano Arlecchino e Pulcinella, che bisticciavano fra di loro e minacciavano da un momento all’altro[38] di scambiarsi un carico di schiaffi e di bastonate.

La platea, tutta attenta, si mandava a male[39] dalle grandi risate, nel sentire il battibecco di quei due burattini.

Quando all’improvviso, Arlecchino smette di recitare, e voltandosi verso il pubblico e accennando colla mano qualcuno in fondo alla platea, comincia a urlare in tono drammatico:

– Numi del firmamento![40] sogno o son desto? Eppure quello laggi? ? Pinocchio!..

– ? Pinocchio davvero! – grida Pulcinella.

– ? proprio lui! – strilla la signora Rosaura, facendo capolino[41] di fondo alla scena.

– ? Pinocchio! ? Pinocchio! – urlano in coro tutti i burattini, uscendo a salti fuori dalle quinte. – ? Pinocchio! ? il nostro fratello Pinocchio! Evviva Pinocchio!..

– Pinocchio, vieni quass? da me! – grida Arlecchino – vieni a gettarti fra le braccia dei tuoi fratelli di legno!

A questo affettuoso invito, Pinocchio spicca un salto, e di fondo alla platea va nei posti distinti; e di l? schizza sul palcoscenico.

? impossibile figurarsi gli abbracciamenti, i pizzicotti dell’amicizia e le zuccate della vera e sincera fratellanza, che Pinocchio ricev? in mezzo a[42] tanto arruffio dagli attori e dalle attrici.



Questo spettacolo era commovente, ma il pubblico della platea, vedendo che la commedia non andava pi? avanti, s’impazient? e prese a gridare:

– Vogliamo la commedia, vogliamo la commedia!

Ma i burattini, invece di continuare la recita, raddoppiarono il chiasso e le grida, e, postosi Pinocchio sulle spalle, se lo portarono in trionfo davanti ai lumi della ribalta.

Allora usc? fuori il burattinaio, un omone cos? brutto, che metteva paura soltanto a guardarlo. Aveva una barbaccia nera come uno scarabocchio d’inchiostro, e tanto lunga che gli scendeva dal mento fino a terra. La sua bocca era larga come un forno, i suoi occhi parevano due lanterne di vetro rosso, col lume acceso di dietro; e con le mani schioccava una grossa frusta, fatta di serpenti e di code di volpe attorcigliate insieme.

All’apparizione inaspettata del burattinaio, ammutolirono tutti: nessuno fiat? pi?. Si sarebbe sentito volare una mosca. Quei poveri burattini, maschi e femmine, tremavano come tante foglie.

– Perch? sei venuto a mettere lo scompiglio nel mio teatro? – domand? il burattinaio a Pinocchio.

– La creda, illustrissimo, che la colpa non ? stata mia!..

– Basta cos?! Stasera faremo i nostri conti.

Difatti, finita la recita della commedia, il burattinaio and? in cucina, dov’egli s’era preparato per cena un bel montone, che girava lentamente infilato nello spiede. E perch? gli mancavano le legna per finirlo di cuocere e di rosolare, chiam? Arlecchino e Pulcinella e disse loro:

– Portatemi di qua quel burattino, che troverete attaccato al chiodo. Mi pare un burattino fatto di un legname molto asciutto, e sono sicuro che, a buttarlo sul fuoco, mi dar? una bellissima fiammata all’arrosto.

Arlecchino e Pulcinella da principio esitarono; ma impauriti da un’occhiataccia del loro padrone, obbedirono: e dopo poco tornarono in cucina, portando sulle braccia il povero Pinocchio, il quale strillava:

– Babbo mio, salvatemi! Non voglio morire, no, non voglio morire!..

Óïðàæíåíèÿ

1. Âûáåðèòå ïðàâèëüíûé âàðèàíò:

Mastr’Antonio fa il mugnaio.

Mastr’Antonio fa il falegname.

Mastr’Antonio fa il fornaio.

Mastr’Antonio fa il pescatore.


2. Âñòàâüòå ïðîïóùåííîå ñëîâî:

Mastr’Antonio, tutto contento, and? subito a ______ sul banco quel pezzo di legno.

Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di paonazza come era quasi sempre, gli era diventata _______ dalla gran paura.

Finito il combattimento, mastr’Antonio si trov? fra le mani _______ gialla di Geppetto, e Geppetto si acc?rse di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname.

Appena finite ________, Geppetto sent? portarsi via la parrucca dal capo.


3. Âûáåðèòå íóæíûé ãëàãîë:

Dopo la bocca, gli ____ il mento, poi il collo, poi le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani.

disse.

tagli?.

fece.

lasci?


4. Âûáåðèòå íóæíûé ïðåäëîã:

in – di – a – da – con

1. Mentre tutto commosso diceva cos?, gli parve ___ sentire ___ lontananza una musica ___ pifferi e ___ colpi ___ gran cassa.

2. Torn? ___ casa bagnato come un pulcino e rifinito ___ stanchezza e __ fame.

3. Il povero burattino rimase l?, come incantato, ___ occhi fissi, ___ bocca aperta e __ gusci ___uovo ___ mano.

4. Allora usc? fuori il burattinaio, un omone cos? brutto, che metteva paura soltanto __ guardarlo.


5. Îòâåòüòå íà âîïðîñû:

1. Perch? Pinocchio ? disubbidiente?

2. Chi ha fatto il burattino?

3. Perch? Pinocchio non ha potuto mangiare l’uovo?

4. Che cosa ha fatto il burattino con l’Abbecedario?

5. Raccontare il testo.

Îòâåòû:

1. Mastr’Antonio fa il falegname.

2. 1. prendere. 2. turchina. 3. la parrucca. 4. le mani.

3. fece.

4. 1. di, in, di, di, di. 2. a, dalla, dalla. 3. cogli, colla, coi, dell’, in. 4. a.

11. Mangiafoco starnutisce e perdona a Pinocchio, il quale poi difende dalla morte il suo amico Arlecchino

Il burattinaio Mangiafoco (ch? questo era il suo nome) pareva un uomo spaventoso, specie con quella sua barba nera; ma nel fondo poi non era un cattiv’uomo. Quando vide portarsi davanti quel povero Pinocchio, urlando “Non voglio morire, non voglio morire!”, principi? subito a commuoversi e a impietosirsi, e lasci? andare un sonorissimo starnuto.

A quello starnuto, Arlecchino, che fin allora era stato afflitto e ripiegato come un salcio piangente, si fece tutto allegro in viso e chinatosi verso Pinocchio, gli bisbigli? sottovoce:

– Buone nuove, fratello! Il burattinaio ha starnutito, e questo ? segno che s’? mosso a compassione per te, e oramai sei salvo.

Perch? bisogna sapere che, mentre tutti gli uomini, quando si sentono impietositi per qualcuno, o piangono, o per lo meno fanno finta[43] di rasciugarsi gli occhi, Mangiafoco, invece, ogni volta che s’inteneriva davvero aveva il vizio di starnutire. Era un modo come un altro, per dare a conoscere agli altri la sensibilit? del suo cuore.

Dopo avere starnutito, il burattinaio, seguitando a fare il burbero, grid? a Pinocchio:

– Finiscila di piangere! Etc?! Etc?! – e fece altri due starnuti.

– Felicit?![44] – disse Pinocchio.

– Grazie. E il tuo babbo e la tua mamma sono sempre vivi? – gli domand? Mangiafoco.

– Il babbo, s?: la mamma non l’ho mai conosciuta.

– Chi lo sa che dispiacere sarebbe per il tuo vecchio padre, se ora ti facessi gettare fra questi carboni ardenti! Povero vecchio! lo compatisco!.. Etc?, etc?, etc? – e fece altri tre starnuti.

– Felicit?! – disse Pinocchio.

– Grazie! Del resto[45] bisogna compatire anche me, perch?, come vedi, non ho pi? legna per finire di cuocere quel montone arrosto, e tu, dico la verit?, in questo caso mi avresti fatto un gran comodo! Ma ormai mi sono impietosito. Invece di te, metter? a bruciare sotto lo spiede qualche burattino della mia Compagnia. Ol?, giandarmi!

A questo comando comparvero subito due giandarmi di legno, lunghi lunghi, secchi secchi, col cappello a lucerna in testa e colla sciabola sfoderata in mano.

Allora il burattinaio disse loro con voce rantolosa:

– Pigliatemi quell’Arlecchino, e poi gettatelo a bruciare sul fuoco. Io voglio che il mio montone sia arrostito bene!

Figuratevi il povero Arlecchino! Fu tanto il suo spavento, che le gambe gli si ripiegarono e cadde bocconi[46] per terra.

Pinocchio, alla vista di quello spettacolo straziante, and? a gettarsi ai piedi del burattinaio, e piangendo, cominci? a dire con voce supplichevole:

– Piet?, signor Mangiafoco!..

– Qui non ci son signori! – replic? duramente il burattinaio.

– Piet?, signor Cavaliere!..

– Qui non ci sono cavalieri!

– Piet?, signor Commendatore!..

– Qui non ci sono commendatori!

– Piet?, Eccellenza!..

A sentirsi chiamare Eccellenza, il burattinaio diventato tutt’a un tratto pi? umano, disse a Pinocchio:

– Ebbene, che cosa vuoi da me?

– Vi domando grazia per il povero Arlecchino!..

– Qui non c’? grazia che tenga. Se ho risparmiato te, bisogna che faccia mettere sul fuoco lui, perch? io voglio che il mio montone sia arrostito bene.

– In questo caso – grid? Pinocchio – in questo caso conosco qual ? il mio dovere. Avanti, signori giandarmi! Legatemi e gettatemi fra quelle fiamme. No, non ? giusta che il povero Arlecchino debba morire per me!

Queste parole fecero piangere tutti i burattini che erano presenti a quella scena. Gli stessi giandarmi piangevano come due agnellini di latte.

Mangiafoco, sul principio, rimase duro e immobile come un pezzo di ghiaccio: ma poi, adagio adagio, cominci? anche lui a commuoversi e a starnutire. E fatti quattro o cinque starnuti, apr? affettuosamente le braccia e disse a Pinocchio:

– Tu sei un gran bravo ragazzo! Vieni qua da me e dammi un bacio.

Pinocchio corse subito, e arrampicandosi come uno scoiattolo su per la barba del burattinaio, and? a posargli un bellissimo bacio sulla punta del naso.

– Dunque la grazia ? fatta? – domand? il povero Arlecchino, con un fil di voce[47] che si sentiva appena.

– La grazia ? fatta! – rispose Mangiafoco: poi soggiunse sospirando – Pazienza! Per questa sera mi rassegner? a mangiare il montone mezzo crudo: ma un’altra volta, guai a chi toccher?!..

Alla notizia della grazia ottenuta, i burattini corsero tutti sul palcoscenico e cominciarono a saltare e a ballare.

12. Il burattinaio Mangiafoco regala cinque monete d’oro a Pinocchio perch? le porti al suo babbo Geppetto: e Pinocchio, invece, si lascia abbindolare dalla Volpe e dal Gatto e se ne va con loro

Il giorno dipoi Mangiafoco chiam? in disparte[48] Pinocchio e gli domand?:

– Come si chiama tuo padre?

– Geppetto.

– E che mestiere fa?

– Il povero.

– Guadagna molto?

– Guadagna tanto quanto ci vuole per non aver mai un centesimo in tasca. Si figuri che per comprarmi l’Abbecedario della scuola dov? vendere l’unica casacca che aveva.

– Povero diavolo! Mi fa quasi compassione. Ecco qui cinque monete d’oro. Va’ subito a portargliele e salutalo tanto da parte mia.

Pinocchio ringrazi? mille volte il burattinaio: abbracci?, a uno a uno[49], tutti i burattini della compagnia, anche i giandarmi; e fuori di s?[50] dalla contentezza, si mise in viaggio per ritornarsene a casa sua.

Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontr? per la strada una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt’e due gli occhi che se ne andavano l? l?[51], aiutandosi fra di loro. La Volpe, che era zoppa, camminava appoggiandosi al Gatto: e il Gatto, che era cieco, si lasciava guidare dalla Volpe.

– Buon giorno, Pinocchio – gli disse la Volpe, salutandolo garbatamente.

– Com’? che sai il mio nome? – domand? il burattino.

– Conosco bene il tuo babbo.

– Dove l’hai veduto?

– L’ho veduto ieri sulla porta di casa sua.

– E che cosa faceva?

– Era in maniche di camicia e tremava dal freddo.

– Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non tremer? pi?!..

– Perch??

– Perch? io sono diventato un gran signore.

– Un gran signore tu? – disse la Volpe, e cominci? a ridere di un riso sguaiato: e il Gatto rideva anche lui, ma per non darlo a vedere[52], si pettinava i baffi colle zampe davanti.

– C’? poco da ridere – grid? Pinocchio impermalito. – Mi dispiace davvero di farvi venire l’acquolina in bocca[53], ma queste qui sono cinque bellissime monete d’oro.

E tir? fuori le monete avute in regalo da Mangiafoco.

Al simpatico suono di quelle monete, la Volpe per un moto involontario allung? la gamba che pareva rattrappita, e il Gatto spalanc? tutt’e due gli occhi che parvero due lanterne verdi: ma poi li richiuse subito, che Pinocchio non si accorse di nulla.

– E ora – gli domand? la Volpe – che cosa vuoi farne di codeste monete?

– Prima di tutto – rispose il burattino – voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e coi bottoni di brillanti: e poi voglio comprare un Abbecedario per me.

– Per te?

– Davvero: perch? voglio andare a scuola e mettermi a studiare a buono.

– Guarda me! – disse la Volpe. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto una gamba.

– Guarda me! – disse il Gatto. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto la vista di tutti e due gli occhi.

In quel mentre[54] un Merlo bianco, che se ne stava appollaiato sulla siepe della strada, fece il suo solito verso e disse:

– Pinocchio, non dar retta[55] ai consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!

Povero Merlo, non l’avesse mai detto! Il Gatto, spiccando un gran salto, gli si avvent? addosso, e senza dargli nemmeno il tempo di dire ohi, se lo mangi? in un boccone.

Mangiato che l’ebbe e ripulitosi la bocca, chiuse gli occhi, e ricominci? a fare il cieco come prima.

– Povero Merlo! – disse Pinocchio al Gatto – perch? l’hai trattato cos? male?

– Ho fatto per dargli una lezione. Cos? un’altra volta imparer? a non metter bocca nei discorsi degli altri.

Erano giunti pi? che a mezza strada quando la Volpe, fermandosi, disse al burattino:

– Vuoi raddoppiare le tue monete d’oro?

– Cio??

– Vuoi tu, di cinque zecchini, farne cento, mille, duemila?

– Magari! e la maniera?

– La maniera ? facilissima. Invece di tornartene a casa tua, dovresti venir con noi.

– E dove mi volete condurre?

– Nel paese dei Barbagianni.

Pinocchio ci pens? un poco, e poi disse risolutamente:

– No, non ci voglio venire. Oramai sono vicino a casa, e voglio andarmene a casa, dove c’? il mio babbo che m’aspetta. Chi lo sa, quanto ha sospirato ieri, a non vedermi tornare. Pur troppo io sono stato un figliolo cattivo. E io l’ho provato a mie spese, perch? mi sono capitate dimolte disgrazie, e anche ieri sera in casa di Mangiafoco, ho corso pericolo… Brrr! mi viene i bordoni[56] soltanto a pensarci!

– Dunque – disse la Volpe – vuoi proprio andare a casa tua? Allora va’ pure, e tanto peggio per te.

– Tanto peggio per te! – ripet? il Gatto.

– Pensaci bene, Pinocchio, perch? tu dai un calcio alla fortuna[57].



– Alla fortuna! – ripet? il Gatto.

– I tuoi cinque zecchini, dall’oggi al domani sarebbero diventati duemila.

– Duemila! – ripet? il Gatto.

– Ma com’? mai possibile che diventino tanti? – domand? Pinocchio, restando a bocca aperta dallo stupore.

– Te lo spiego subito – disse la Volpe. – Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c’? un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro, per esempio, uno zecchino d’oro. Poi ricopri la buca con un po’ di terra: l’annaffi con due secchie d’acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto.

Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia, e la mattina dopo, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro quanti chicchi di grano pu? avere una bella spiga nel mese di giugno.

– Sicch? dunque – disse Pinocchio – se io sotterrassi in quel campo i miei cinque zecchini, la mattina dopo quanti zecchini ci troverei?

– ? un conto facilissimo – rispose la Volpe – un conto che puoi farlo sulla punta delle dita. Poni che ogni zecchino ti faccia un grappolo di cinquecento zecchini: moltiplica il cinquecento per cinque, e la mattina dopo ti trovi in tasca duemilacinquecento zecchini.

– Oh che bella cosa! – grid? Pinocchio, ballando dall’allegrezza. – Appena che questi zecchini li avr? raccolti, ne prender? per me duemila e gli altri cinquecento di pi? li dar? in regalo a voialtri due.

– Un regalo a noi? – grid? la Volpe sdegnandosi e chiamandosi offesa. – Dio te ne liberi!

– Te ne liberi! – ripet? il Gatto.

– Noi – riprese la Volpe – non lavoriamo per il vile interesse: noi lavoriamo unicamente per arricchire gli altri.

– Gli altri! – ripet? il Gatto.

– Che brave persone! – pens? dentro di s? Pinocchio: e dimenticandosi del suo babbo, della casacca nuova, dell’Abbecedario, disse alla Volpe e al Gatto:

– Andiamo subito, io vengo con voi.

13. L’osteria del “Gambero Rosso”

Cammina, cammina, alla fine sul far della sera[58] arrivarono stanchi morti all’osteria del Gambero Rosso.

– Fermiamoci un po’ qui – disse la Volpe – tanto per mangiare un boccone e per riposarci qualche ora. A mezzanotte poi ripartiremo per essere domani, all’alba, nel Campo dei miracoli.

Entrati nell’osteria, si posero tutti e tre a tavola: ma nessuno di loro aveva appetito.

Il povero Gatto, sentendosi indisposto di stomaco, non pot? mangiare altro che[59] trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana: e perch? la trippa non gli pareva condita abbastanza, si rifece tre volte a chiedere il burro e il formaggio grattato!

La Volpe avrebbe mangiato volentieri qualche cosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, cos? dov? contentarsi di una semplice lepre dolce e un contorno di pollastre e di galletti di primo canto[60]. Aveva tanta nausea per il cibo, diceva lei, che non poteva accostarsi nulla alla bocca.

Quello che mangi? meno di tutti fu Pinocchio. Chiese uno spicchio di noce e un cantuccio di pane, e lasci? nel piatto ogni cosa. Il povero figliolo, col pensiero sempre fisso al Campo dei miracoli.

Quand’ebbero cenato, la Volpe disse all’oste:

– Datemi due buone camere. Prima di ripartire stiacceremo un sonnellino[61]. Ricordatevi per? che a mezzanotte vogliamo essere svegliati per continuare il nostro viaggio.

– Sissignori – rispose l’oste, e strizz? l’occhio[62] alla Volpe e al Gatto.

Appena che Pinocchio fu entrato nel letto, si addorment? e principi? a sognare. E sognando gli pareva di essere in mezzo a un campo, e questo campo era pieno di arboscelli carichi di grappoli, e questi grappoli erano carichi di zecchini d’oro che, dondolandosi mossi dal vento, facevano zin, zin, zin. Ma quando Pinocchio allung? la mano per prendere a manciate tutte quelle belle monete e mettersele in tasca, si trov? svegliato all’improvviso da tre violentissimi colpi dati nella porta di camera.

Era l’oste che veniva a dirgli che la mezzanotte era sonata.

– E i miei compagni sono pronti? – gli domand? il burattino.

– Altro che pronti! Sono partiti due ore fa.

– Perch? tanta fretta?

– Perch? il Gatto ha ricevuto un’imbasciata, che il suo gattino maggiore, malato di geloni ai piedi, stava in pericolo di vita.

– E la cena l’hanno pagata?

– Che vi pare? Quelle l? sono persone troppo educate, perch? facciano un affronto simile alla signoria vostra.

– Peccato! Quest’affronto mi avrebbe fatto tanto piacere! – disse Pinocchio. Poi domand?:

– E dove hanno detto di aspettarmi quei buoni amici?

– Al Campo dei miracoli, domattina, allo spuntare del giorno[63].

Pinocchio pag? uno zecchino per la cena sua e per quella dei suoi compagni, e dopo part?.

Ma si pu? dire che partisse a tastoni, perch? fuori dell’osteria c’era un buio cos? buio che non ci si vedeva da qui a l?[64]. Nella campagna all’intorno non si sentiva alitare una foglia. Solamente alcuni uccelli notturni, traversando la strada da una siepe all’altra, venivano a sbattere le ali sul naso di Pinocchio, il quale gridava: – Chi va l?? – e l’eco delle colline circostanti ripeteva in lontananza: – Chi va l?? chi va l?? chi va l??

Intanto, mentre camminava, vide sul tronco di un albero un piccolo animaletto.

– Chi sei? – gli domand? Pinocchio.

– Sono l’ombra del Grillo-parlante – rispose l’animaletto con una vocina fioca fioca.

– Che vuoi da me? – disse il burattino.

– Voglio darti un consiglio. Ritorna indietro e porta i quattro zecchini al tuo povero babbo, che piange e si dispera per non averti pi? veduto.

– Domani il mio babbo sar? un gran signore, perch? questi quattro zecchini diventeranno duemila.

– Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni! Dai retta a me[65], ritorna indietro.

– E io invece voglio andare avanti.

– L’ora ? tarda!..

– Voglio andare avanti.

– La nottata ? scura…

– Voglio andare avanti.

– La strada ? pericolosa…

– Voglio andare avanti.

– Ricordati che i ragazzi che vogliono fare di capriccio, prima o poi se ne pentirono.

– Le solite storie. Buona notte, Grillo.

– Buona notte, Pinocchio, e che il cielo ti salvi dalla guazza e dagli assassini.

Appena dette queste ultime parole, il Grillo-parlante si spense a un tratto e la strada rimase pi? buia di prima.

14. Pinocchio, per non aver dato retta ai buoni consigli del Grillo-parlante, s’imbatte negli assassini

– Davvero – disse fra s? il burattino – come siamo disgraziati noi altri[66]poveri ragazzi! Tutti ci sgridano, tutti ci ammoniscono, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri; tutti: anche i Grilli-parlanti. Ecco qui: perch? io non ho voluto dar retta a quell’uggioso di Grillo, chi lo sa quante disgrazie, secondo lui, mi dovrebbero accadere! Dovrei incontrare anche gli assassini! Meno male che[67] agli assassini io non ci credo. Per me gli assassini sono stati inventati dai babbi, per far paura ai ragazzi che vogliono andar fuori la notte. E poi se anche li trovassi qui sulla strada, mi darebbero forse soggezione? Neanche per sogno[68]. Anderei loro sul viso, gridando: “Signori assassini, che cosa vogliono da me? Si rammentino che con me non si scherza!” A questa parlantina fatta sul serio, quei poveri assassini scapperebbero via come il vento. Caso poi fossero tanto ineducati da non volere scappare, allora scapperei io…

Ma Pinocchio non pot? finire il suo ragionamento, perch? in quel punto gli parve di sentire dietro di s? un leggerissimo fruscio di foglie.

Si volt? a guardare, e vide nel buio due figure nere, tutte imbacuccate in due sacchi da carbone, le quali correvano dietro a lui a salti e in punta di piedi[69].

– Eccoli davvero! – disse dentro di s?: e non sapendo dove nascondere i quattro zecchini, se li nascose in bocca sotto la lingua.

Poi si prov? a scappare. Ma non aveva ancora fatto il primo passo, che sent? agguantarsi per le braccia e intese due voci orribili, che gli dissero:

– O la borsa o la vita!

Pinocchio non potendo rispondere con le parole, a motivo delle monete che aveva in bocca, fece mille pantomime, per dare ad intendere a quei due, di cui si vedevano soltanto gli occhi attraverso i buchi dei sacchi, che lui era un povero burattino e che non aveva in tasca nemmeno un centesimo falso.

– Via, via! Meno ciarle e fuori i denari! – gridarono i due briganti.

E il burattino fece col capo e colle mani un segno, come dire: “Non ne ho.”

– Metti fuori i denari o sei morto – disse l’assassino pi? alto di statura.

– Morto! – ripet? l’altro.

– E dopo ammazzato te, ammazzeremo anche tuo padre!

– Anche tuo padre!

– No, no, no, il mio povero babbo no! – grid? Pinocchio con accento disperato: ma nel gridare cos?, gli zecchini gli sonarono in bocca.

– Ah furfante! dunque i danari te li sei nascosti sotto la lingua? Sputali subito!

E Pinocchio, duro!

– Ah! tu fai il sordo? Aspetta un po’, ch? penseremo noi a farteli sputare!

Difatti uno di loro afferr? il burattino per la punta del naso e quell’altro lo prese per la bazza, e l? cominciarono a tirare uno per in qua e l’altro per in l?, tanto da costringerlo a spalancare la bocca: ma non ci fu verso. La bocca del burattino pareva ribadita.

Allora l’assassino pi? piccolo di statura, cavato fuori un coltellaccio, prov? a conficcarglielo a guisa di leva e di scalpello fra le labbra: ma Pinocchio, lesto come un lampo, gli azzann? la mano coi denti, e dopo avergliela con un morso staccata di netto[70], la sput?; e figuratevi la sua meraviglia quando, invece di una mano, si accorse di avere sputato in terra uno zampetto di gatto.

Incoraggiato da questa prima vittoria, si liber? degli assassini, e cominci? a fuggire per la campagna. E gli assassini a correre dietro a lui, come due cani dietro una lepre: e quello che aveva perduto uno zampetto correva con una gamba sola.

Dopo una corsa di quindici chilometri, Pinocchio non ne poteva pi?. Allora si arrampic? su per il fusto di un altissimo pino e si pose a sedere in vetta ai rami. Gli assassini tentarono di arrampicarsi anche loro, ma giunti a met? del fusto sdrucciolarono e, ricascando a terra, si spellarono le mani e i piedi.

Non per questo si dettero per vinti[71]: anzi, raccolto un fastello di legna secche a pi? del pino, vi appiccarono il fuoco. Il pino cominci? a bruciare. Pinocchio, vedendo che le fiamme salivano sempre pi? e non volendo far la fine del piccione arrosto, spicc? un bel salto di vetta all’albero, e via a correre daccapo attraverso ai campi e ai vigneti. E gli assassini dietro, sempre dietro.

Intanto cominciava a baluginare il giorno e si rincorrevano sempre; quand’ecco che Pinocchio si trov? sbarrato il passo[72] da un fosso largo e profondissimo, tutto pieno di acqua sudicia, color del caff? e latte. Che fare? “Una, due, tre!” grid? il burattino, e salt? dall’altra parte. E gli assassini saltarono anche loro, ma non avendo preso bene la misura, patatunfete!.. cascarono gi? nel bel mezzo del fosso. Pinocchio che sent? il tonfo e gli schizzi dell’acqua, url? ridendo e seguitando a correre:

– Buon bagno, signori assassini!

E gi? si figurava che fossero affogati, quando invece, voltandosi a guardare, si accorse che gli correvano dietro tutti e due, sempre imbacuccati nei loro sacchi, e grondanti acqua.

15. Gli assassini inseguono Pinocchio; e dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande

Allora il burattino fu proprio sul punto di gettarsi in terra, quando vide fra mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare in lontananza una casina candida come la neve.

– Se io avessi tanto fiato da arrivare fino a quella casa, forse sarei salvo! – disse dentro di s?.

E senza indugiare un minuto, riprese a correre per il bosco a carriera distesa. E gli assassini sempre dietro.

Dopo una corsa disperata di quasi due ore, finalmente, tutto trafelato, arriv? alla porta di quella casina e buss?.

Nessuno rispose.

Torn? a bussare con maggior violenza, perch? sentiva avvicinarsi il rumore dei passi e il respiro affannoso de’ suoi persecutori. Lo stesso silenzio.

Avvedutosi che il bussare non giovava a nulla, cominci? per disperazione a dare calci nella porta. Allora si affacci? alla finestra una bella Bambina, coi capelli turchini, gli occhi chiusi, la quale, senza muover punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall’altro mondo:

– In questa casa non c’? nessuno. Sono tutti morti.

– Aprimi almeno tu! – grid? Pinocchio piangendo.

– Sono morta anch’io.

– Morta? e allora che cosa fai alla finestra?

– Aspetto la bara che venga a portarmi via.

Appena detto cos?, la Bambina disparve, e la finestra si richiuse senza far rumore.

– O bella Bambina dai capelli turchini, – gridava Pinocchio – aprimi per carit?. Abbi compassione di un povero ragazzo inseguito dagli assass…

Ma non pot? finir la parola, perch? sent? afferrarsi per il collo, e le solite due vociacce che gli brontolarono:

– Ora non ci scappi pi?!

Il burattino fu preso da un tremito cos? forte, che nel tremare, gli sonavano le giunture delle sue gambe di legno e i quattro zecchini che teneva nascosti sotto la lingua.

– Dunque? – gli domandarono gli assassini – vuoi aprirla la bocca, s? o no? Ah! non rispondi?… Lascia fare[73]: ch? questa volta te la faremo aprir noi!..

E cavati fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi, zaff e zaff…, gli affibbiarono due colpi nel mezzo alle reni.

Ma il burattino per sua fortuna era fatto d’un legno durissimo, motivo per cui le lame, spezzandosi, andarono in mille schegge e gli assassini rimasero col manico dei coltelli in mano.

– Ho capito – disse allora un di loro – bisogna impiccarlo!

– Impicchiamolo! – ripet? l’altro.

Detto fatto, gli legarono le mani dietro le spalle, e, passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande.

Poi si posero l?, seduti sull’erba, aspettando che il burattino facesse l’ultimo sgambetto: ma il burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti e la bocca chiusa.

Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli dissero:

– Addio a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la garbatezza di farti trovare morto e con la bocca spalancata.

E se ne andarono.

Intanto s’era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia, sbatacchiava in qua e in l? il povero impiccato, facendolo dondolare violentemente. E quel dondolio gli cagionava spasimi, e il nodo scorsoio, stringendosi sempre pi? alla gola, gli toglieva il respiro.

A poco a poco gli occhi gli si appannarono; e sebbene sentisse avvicinarsi la morte, pure sperava sempre che da un momento all’altro sarebbe capitata qualche anima pietosa a dargli aiuto. Ma quando vide che non compariva nessuno, proprio nessuno, allora gli torn? in mente il suo povero babbo… e balbett? quasi moribondo:

– Oh babbo mio! se tu fossi qui!..

E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, apr? la bocca, stir? le gambe e, dato un grande scrollone, rimase l? come intirizzito.

16. La bella Bambina dai capelli turchini fa raccogliere il burattino: lo mette a letto, e chiama tre medici per sapere se sia vivo o morto

In quel mentre[74] che il povero Pinocchio impiccato dagli assassini a un ramo della Quercia grande, pareva oramai pi? morto che vivo, la bella Bambina dai capelli turchini si affacci? daccapo alla finestra, e impietositasi alla vista di quell’infelice che, sospeso per il collo, ballava il trescone alle ventate di tramontana, batt? per tre volte le mani insieme, e fece tre piccoli colpi.

A questo segnale si sent? un gran rumore di ale che volavano con foga precipitosa, e un grosso Falco venne a posarsi sul davanzale della finestra.

– Che cosa comandate, mia Fata? – disse il Falco abbassando il becco in atto di riverenza.

– Vedi tu quel burattino attaccato penzoloni a un ramo della Quercia grande?

– Lo vedo.

– Orbene: vola subito laggi?; rompi col tuo fortissimo becco il nodo che lo tiene sospeso in aria, e posalo delicatamente sdraiato sull’erba, a pi? della Quercia.

Il Falco vol? via e dopo due minuti torn?, dicendo:

– Quel che mi avete comandato, ? fatto.

– E come l’hai trovato? Vivo o morto?

– A vederlo pareva morto, ma non dev’essere ancora morto, perch? appena gli ho sciolto il nodo scorsoio che lo stringeva intorno alla gola, ha lasciato andare un sospiro, balbettando a mezza voce: “Ora mi sento meglio!..”

Allora la Fata, battendo le mani insieme, fece due piccoli colpi, e apparve un magnifico Cane-barbone, che camminava ritto sulle gambe di dietro.

Il Cane-barbone era vestito da cocchiere in livrea di gala. Aveva parrucca bianca coi riccioli che gli scendevano gi? per il collo, una giubba color di cioccolata coi bottoni di brillanti e con due grandi tasche per tenervi gli ossi, che gli regalava a pranzo la padrona, un paio di calzoni corti di velluto cremisi, le calze di seta, gli scarpini scollati.

– Senti, Medoro! – disse la Fata al Cane-barbone. – Fa’ subito attaccare la pi? bella carrozza della mia scuderia e prendi la via del bosco. Sotto la Quercia grande, troverai disteso sull’erba un povero burattino mezzo morto. Raccoglilo con garbo, posalo pari pari[75] su i cuscini della carrozza e portamelo qui. Hai capito?

Il Cane-barbone, per fare intendere che aveva capito, dimen? tre o quattro volte la fodera di raso turchino, che aveva dietro, e part? come un barbero.

Di l? a poco[76], si vide uscire dalla scuderia una bella carrozzina color dell’aria. La carrozzina era tirata da cento pariglie di topini bianchi, e il Cane-barbone, seduto a cassetta, schioccava la frusta a destra e a sinistra, come un vetturino quand’ha paura di aver fatto tardi.

Non era ancora passato un quarto d’ora, che la carrozzina torn? e la Fata, che stava aspettando sull’uscio di casa, prese in collo[77] il povero burattino, e portatolo in una cameretta che aveva le pareti di madreperla, mand? subito a chiamare i medici pi? famosi del vicinato.

E i medici arrivarono subito uno dopo l’altro: arriv?, cio?, un Corvo, una Civetta e un Grillo-parlante.

– Vorrei sapere da lor signori – disse la Fata, rivolgendosi ai tre medici riuniti intorno al letto di Pinocchio – vorrei sapere da lor signori se questo disgraziato burattino sia vivo o morto!..

A quest’invito, il Corvo tast? il polso a Pinocchio, poi gli tast? il naso, poi il dito mignolo dei piedi: e quand’ebbe tastato ben bene, pronunzi? queste parole:

– A mio credere[78] il burattino ? morto: ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che ? sempre vivo!

– Mi dispiace – disse la Civetta – di dover contraddire il Corvo, mio amico e collega: per me, invece, il burattino ? sempre vivo; ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che ? morto davvero.

– E lei non dice nulla? – domand? la Fata al Grillo-parlante.

– Io dico che il medico prudente, quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare, ? quella di stare zitto. Del resto quel burattino, non m’? fisonomia nuova: io lo conosco da un pezzo[79]!

Pinocchio, che fin allora era stato immobile come un vero pezzo di legno, ebbe una specie di fremito convulso, che fece scuotere tutto il letto.

– Quel burattino – seguit? a dire il Grillo-parlante – ? una birba…

Pinocchio apr? gli occhi e li richiuse subito.

– ? un vagabondo…

Pinocchio si nascose la faccia sotto i lenzuoli.

– Quel burattino ? un figliolo disubbidiente, che far? morire di crepacuore il suo povero babbo!..

A questo punto si sent? nella camera un suono soffocato di pianti. Figuratevi come rimasero tutti, allorch?, sollevati un poco i lenzuoli, si accorsero che quello che piangeva era Pinocchio.

– Quando il morto piange, ? segno che ? in via di guarigione – disse il Corvo.

17. Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi: per? quando vede i becchini che vengono a portarlo via, allora si purga. Poi dice una bugia e per castigo gli cresce il naso

Appena i tre medici furono usciti di camera, la Fata si accost? a Pinocchio, e, dopo averlo toccato sulla fronte, si accorse che era travagliato da un febbrone.

Allora sciolse una certa polverina bianca in un mezzo bicchier d’acqua e gli disse amorosamente:

– Bevila, e in pochi giorni sarai guarito.

Pinocchio guard? il bicchiere, storse un po’ la bocca, e poi domand? con voce di piagnisteo:

– ? dolce o amara?

– ? amara, ma ti far? bene.

– Se ? amara non la voglio.

– Da’ retta a me[80]: bevila.

– A me l’amaro non mi piace.

– Bevila: e quando l’avrai bevuta, ti dar? una pallina di zucchero.

– Dov’? la pallina di zucchero?

– Eccola qui – disse la Fata, tirandola fuori da una zuccheriera d’oro.

– Prima voglio la pallina di zucchero, e poi bever? quell’acqua amara…

– Me lo prometti?

– S?…

La Fata gli dette la pallina, e Pinocchio, dopo averla sgranocchiata e ingoiata in un attimo, disse leccandosi i labbri:

– Bella cosa se anche lo zucchero fosse una medicina!.. Mi purgherei tutti i giorni.

– Ora mantieni la promessa e bevi queste poche gocciole d’acqua, che ti renderanno la salute.

Pinocchio prese di mala voglia[81] il bicchiere in mano e vi ficc? dentro la punta del naso: poi se l’accost? alla bocca: poi torn? a ficcarci la punta del naso: finalmente disse:

– ? troppo amara! troppo amara! Io non la posso bere.

– Come fai a dirlo se non l’hai nemmeno assaggiata?

– L’ho sentita all’odore. Voglio prima un’altra pallina di zucchero… e poi la bever?!

Allora la Fata, con tutta la pazienza di una buona mamma, gli pose in bocca un altro po’ di zucchero; e dopo gli present? daccapo il bicchiere.

– Cos? non la posso bere! – disse il burattino, facendo mille smorfie.

– Perch??

– Perch? mi d? noia[82] quel guanciale che ho laggi? su i piedi.

La Fata gli lev? il guanciale.

– ? inutile! Non la posso bere.

– Che cos’altro ti d? noia?

– Mi d? noia l’uscio di camera, che ? mezzo aperto.

La Fata and?, e chiuse l’uscio di camera.

– Insomma – grid? Pinocchio, dando in uno scoppio di pianto[83] – quest’acqua amara, non la voglio bere, no, no, no!..

– Ragazzo mio, te ne pentirai…

– Non me n’importa…

– La tua malattia ? grave…

– Non me n’importa…

– La febbre ti porter? in poche ore all’altro mondo…

– Non me n’importa…

– Non hai paura della morte?

– Nessuna paura!.. Piuttosto morire, che bevere quella medicina cattiva.

A questo punto, la porta della camera si spalanc?, ed entrarono dentro quattro conigli neri, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto.

– Che cosa volete da me? – grid? Pinocchio.

– Siamo venuti a prenderti – rispose il coniglio pi? grosso.

– A prendermi?… Ma io non sono ancora morto!..

– Ancora no: ma ti restano pochi minuti di vita, avendo tu ricusato di bevere la medicina, che ti avrebbe guarito della febbre!..

– O Fata mia! – cominci? allora a strillare il burattino – datemi subito quel bicchiere… Spicciatevi, per carit?, perch? non voglio morire, no… non voglio morire.

E preso il bicchiere con tutte e due le mani, lo vuot? in un fiato.

– Pazienza! – dissero i conigli. – Per questa volta abbiamo fatto il viaggio a ufo.

E tiratisi di nuovo la piccola bara sulle spalle, uscirono di camera bofonchiando e mormorando fra i denti.

Fatto sta che di l? a pochi minuti[84], Pinocchio salt? gi? dal letto, guarito; perch? bisogna sapere che i burattini di legno hanno il privilegio di ammalarsi di rado e di guarire prestissimo.

E la Fata, vedendolo correre e ruzzare per la camera, vispo e allegro, gli disse:

– Dunque la mia medicina t’ha fatto bene davvero?

– Altro che bene! Mi ha rimesso al mondo!..

– E allora come mai ti sei fatto tanto pregare a beverla?

– Noi ragazzi siamo tutti cos?! Abbiamo pi? paura delle medicine che del male.

– Vergogna! I ragazzi dovrebbero sapere che un buon medicamento preso a tempo, pu? salvarli da una grave malattia e fors’anche dalla morte…

– Oh! ma un’altra volta non mi far? tanto pregare! Mi rammenter? di quei conigli neri, con la bara sulle spalle… e allora piglier? subito il bicchiere in mano, e gi?!..

– Ora vieni un po’ qui da me, e raccontami come and? che ti trovasti fra le mani degli assassini.

– Gli and?[85], che il burattinaio Mangiafoco mi dette cinque monete d’oro, e mi disse: “To’, portale al tuo babbo!”, e io, invece, per la strada trovai una Volpe e un Gatto, due persone molto per bene, che mi dissero: “Vuoi che codeste monete diventino mille e duemila? Vieni con noi, e ti condurremo al Campo dei miracoli.” E io dissi: “Andiamo;” e loro dissero: “Fermiamoci qui all’osteria del Gambero rosso, e dopo la mezzanotte ripartiremo.” E io, quando mi svegliai, loro non c’erano pi?, perch? erano partiti. Allora io cominciai a camminare di notte, che era un buio che pareva impossibile, per cui trovai per la strada due assassini dentro due sacchi da carbone, che mi dissero: “Metti fuori i quattrini;” e io dissi: “non ce n’ho;” perch? le monete d’oro me l’ero nascoste in bocca, e uno degli assassini si prov? a mettermi le mani in bocca, e io con un morso gli staccai la mano e poi la sputai, ma invece di una mano sputai uno zampetto di gatto. E gli assassini a corrermi dietro, e io corri, finch? mi raggiunsero, e mi legarono per il collo a un albero di questo bosco col dire: “Domani torneremo qui, e allora sarai morto e colla bocca aperta, e cos? ti porteremo via le monete d’oro che hai nascoste sotto la lingua”.

– E ora le quattro monete dove le hai messe? – gli domand? la Fata.

– Le ho perdute! – rispose Pinocchio; ma disse una bugia, perch? invece le aveva in tasca.

Appena detta la bugia il suo naso, che era gi? lungo, gli crebbe subito due dita di pi?.

– E dove le hai perdute?

– Nel bosco qui vicino.

A questa seconda bugia, il naso seguit? a crescere.

– Se le hai perdute nel bosco vicino – disse la Fata – le cercheremo e le ritroveremo: perch? tutto quello che si perde nel vicino bosco, si ritrova sempre.

– Ah! ora che mi rammento bene – replic? il burattino imbrogliandosi – le quattro monete non le ho perdute, ma le ho inghiottite mentre bevevo la vostra medicina.

A questa terza bugia, il naso gli si allung? in un modo cos? straordinario, che il povero Pinocchio non poteva pi? girarsi da nessuna parte. Se si voltava di qui, batteva il naso nel letto o nei vetri della finestra, se si voltava di l?, lo batteva nelle pareti o nella porta di camera, se alzava un po’ pi? il capo, correva il rischio di ficcarlo in un occhio alla Fata.

E la Fata lo guardava e rideva.

– Perch? ridete? – gli domand? il burattino, tutto confuso e impensierito di quel suo naso che cresceva.

– Rido della bugia che hai detto.

– Come mai sapete che ho detto una bugia?

– Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito, perch? ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l’appunto ? di quelle che hanno il naso lungo.

Pinocchio, non sapendo pi? dove nascondersi per la vergogna, si prov? a fuggire di camera; ma non gli riusc?. Il suo naso era cresciuto tanto, che non passava pi? dalla porta.

18. Pinocchio ritrova la Volpe e il Gatto, e va con loro a seminare le quattro monete nel Campo dei miracoli

Come potete immaginarvelo, la Fata lasci? che il burattino piangesse e urlasse una buona mezz’ora, a motivo di quel suo naso che non passava pi? dalla porta di camera; e lo fece per dargli una severa lezione e perch? si correggesse dal brutto vizio di dire le bugie, il pi? brutto vizio che possa avere un ragazzo. Ma quando lo vide trasfigurato e cogli occhi fuori della testa dalla gran disperazione, allora, mossa a piet?, batt? le mani insieme, e a quel segnale entrarono in camera dalla finestra un migliaio di grossi uccelli chiamati Picchi, i quali, posatisi tutti sul naso di Pinocchio, cominciarono a beccarglielo, e in pochi minuti quel naso enorme si trov? ridotto alla sua grandezza naturale.

– Quanto siete buona, Fata mia, – disse il burattino – e quanto bene vi voglio[86]!

– Ti voglio bene anch’io – rispose la Fata – e se tu vuoi rimanere con me, tu sarai il mio fratellino e io la tua buona sorellina…

– Io resterei volentieri… ma il mio povero babbo?

– Ho pensato a tutto. Il tuo babbo ? stato avvertito: e prima che faccia notte, sar? qui.

– Davvero? – grid? Pinocchio, saltando dall’allegrezza. – Allora, Fatina mia, se vi contentate, vorrei andargli incontro! Non vedo l’ora di[87] poter dare un bacio a quel povero vecchio, che ha sofferto tanto per me!

– Va’ pure, ma bada di non ti sperdere. Prendi la via del bosco, e sono sicura che lo incontrerai.

Pinocchio part?: e appena entrato nel bosco, cominci? a correre. Ma quando fu arrivato a un certo punto[88], quasi in faccia alla Quercia grande, si ferm?, perch? gli parve di aver sentito gente fra mezzo alle frasche. Difatti vide apparire sulla strada, indovinate chi?… la Volpe e il Gatto.

– Ecco il nostro caro Pinocchio! – grid? la Volpe, abbracciandolo e baciandolo. – Come mai sei qui?

– Come mai sei qui? – ripet? il Gatto.

– ? una storia lunga – disse il burattino – e ve la racconter?. Sappiate per? che l’altra notte, quando mi avete lasciato solo sull’osteria, ho trovato gli assassini per la strada…

– Gli assassini?… Oh povero amico! E che cosa volevano?

– Mi volevano rubare le monete d’oro.

– Infami!.. – disse la Volpe.

– Infamissimi! – ripet? il Gatto.

– Ma io cominciai a scappare – continu? a dire il burattino – e loro sempre dietro: finch? mi raggiunsero e m’impiccarono a un ramo di quella quercia…

E Pinocchio accenn? la Quercia grande, che era l? a due passi.

– Si pu? sentir di peggio? – disse la Volpe. – In che mondo siamo condannati a vivere! Dove troveremo un rifugio sicuro?

Nel tempo che parlavano cos?, Pinocchio si accorse che il Gatto era zoppo dalla gamba destra davanti, perch? gli mancava in fondo tutto lo zampetto: per cui gli domand?:

– Che cosa hai fatto del tuo zampetto?

Il Gatto voleva rispondere qualche cosa, ma s’imbrogli?. Allora la Volpe disse subito:

– Il mio amico ? troppo modesto, e per questo non risponde. Risponder? io per lui. Sappi dunque che un’ora fa abbiamo incontrato sulla strada un vecchio lupo, quasi svenuto dalla fame, che ci ha chiesto un po’ d’elemosina. Non avendo noi da dargli nemmeno una lisca di pesce, che cosa ha fatto l’amico mio? Si ? staccato coi denti uno zampetto delle sue gambe davanti e l’ha gettato a quella povera bestia.

E la Volpe, nel dir cos?, si asciug? una lacrima.

Pinocchio si avvicin? al Gatto, sussurrandogli negli orecchi:

– Se tutti i gatti ti somigliassero, fortunati i topi!..

– E ora che cosa fai in questi luoghi? – domand? la Volpe al burattino.

– Aspetto il mio babbo, che deve arrivare qui di momento in momento[89].

– E le tue monete d’oro?

– Le ho sempre in tasca.

– E pensare che, invece di quattro monete, potrebbero diventare domani mille e duemila! Perch? non dai retta al mio consiglio? Perch? non vai a seminarle nel Campo dei miracoli?

– Oggi ? impossibile: vi ander? un altro giorno.

– Un altro giorno sar? tardi!.. – disse la Volpe.

– Perch??

– Perch? quel campo ? stato comprato da un gran signore, e da domani in l? non sar? pi? permesso a nessuno di seminarvi i denari.

– Quant’? distante di qui il Campo dei miracoli?

– Due chilometri appena. Vuoi venire con noi? Fra mezz’ora sei l?: semini subito le quattro monete: dopo pochi minuti ne raccogli duemila, e stasera ritorni qui colle tasche piene. Vuoi venire con noi?

Pinocchio esit? un poco a rispondere, perch? gli torn? in mente la buona Fata, il vecchio Geppetto e gli avvertimenti del Grillo-parlante; ma poi fin? col dare una scrollatina di capo[90], e disse alla Volpe e al Gatto:

– Andiamo pure: io vengo con voi.

E partirono.

Dopo aver camminato una mezza giornata arrivarono a una citt?. Appena entrato in citt?, Pinocchio vide tutte le strade popolate di cani spelacchiati, di pecore tosate, che tremavano dal freddo, di galline rimaste senza cresta, che chiedevano l’elemosina d’un chicco di granturco, di grosse farfalle, che non potevano pi? volare, perch? avevano venduto le loro bellissime ali colorite, e di pavoni tutti scodati.

In mezzo a questa folla di accattoni e di poveri vergognosi, passavano alcune carrozze signorili con dentro o qualche Volpe, o qualche Gazza ladra.

– E il Campo dei miracoli dov’?? – domand? Pinocchio.

– ? qui a due passi.

Detto fatto traversarono la citt? e, usciti fuori dalle mura, si fermarono in un campo solitario che somigliava a tutti gli altri campi.

– Eccoci giunti – disse la Volpe al burattino. – Ora chinati gi? a terra, scava con le mani una piccola buca nel campo, e mettici dentro le monete d’oro.

Pinocchio obbed?. Scav? la buca, ci pose le quattro monete d’oro che gli erano rimaste: e dopo ricopr? la buca con un po’ di terra.

– Ora – disse la Volpe – va’ alla gora qui vicina, prendi una secchia d’acqua e annaffia il terreno dove hai seminato.

Pinocchio and? alla gora, e perch? non aveva una secchia, si lev? di piedi una ciabatta e, riempitala d’acqua, annaffi? la terra che copriva la buca. Poi domand?:

– C’? altro da fare?

– Nient’altro – rispose la Volpe. – Ora possiamo andar via. Tu poi ritorna qui fra una ventina di minuti, e troverai l’arboscello coi rami tutti carichi di monete.

Il povero burattino ringrazi? mille volte la Volpe e il Gatto, e promise loro un bellissimo regalo.

– Noi non vogliamo regali – risposero questi due malanni. – A noi ci basta di averti insegnato il modo di arricchire, e siamo contenti.

Ci? detto salutarono Pinocchio e se ne andarono per i fatti loro.

19. Pinocchio ? derubato delle sue monete d’oro, e per castigo, si busca quattro mesi di prigione

Il burattino, ritornato in citt?, cominci? a contare i minuti; e, quando gli parve che fosse l’ora, riprese subito la strada che menava al Campo dei miracoli.

E mentre camminava, il cuore gli batteva forte. E intanto pensava dentro di s?: “E se invece di mille monete, ne trovassi su i rami dell’albero duemila?… E se invece di duemila, ne trovassi cinquemila? e se invece di cinquemila, ne trovassi centomila? Oh che bel signore diventerei!.. Vorrei avere un bel palazzo, mille cavallini di legno e mille scuderie, una cantina di rosoli, e una libreria tutta piena di canditi, di torte e di mandorlati”.

Cos? fantasticando, giunse in vicinanza del campo, e l? si ferm? a guardare se per caso avesse potuto scorgere qualche albero coi rami carichi di monete: ma non vide nulla. And? proprio su quella piccola buca, dove aveva sotterrato i suoi zecchini, e nulla. Allora divent? pensieroso e tir? fuori una mano di tasca e si dette una lunghissima grattata di capo.

In quel mentre sent? una gran risata: voltatosi in su, vide sopra un albero un grosso Pappagallo.

– Perch? ridi? – gli domand? Pinocchio.

– Rido, perch? nello spollaiarmi mi sono fatto il solletico sotto le ali.

Il burattino non rispose. And? alla gora e riempita d’acqua la solita ciabatta, si pose novamente ad annaffiare la terra, che ricopriva le monete d’oro.

Quand’ecco un’altra risata.

– Insomma – grid? Pinocchio, arrabbiandosi – si pu? sapere di che cosa ridi?

– Rido di quei barbagianni, che credono a tutte le scioccherie e che si lasciano trappolare da chi ? pi? furbo di loro.

– Parli forse di me?

– S?, parlo di te; di te che sei cos? dolce di sale[91] da credere che i denari si possano seminare e raccogliere nei campi, come si seminano le zucche. Anch’io l’ho creduto una volta. Oggi mi son dovuto persuadere che per mettere insieme[92] onestamente pochi soldi bisogna saperseli guadagnare o col lavoro delle proprie mani o coll’ingegno della propria testa.

– Non ti capisco – disse il burattino.

– Pazienza! Mi spiegher? meglio – soggiunse il Pappagallo. – Sappi dunque che la Volpe e il Gatto sono tornati in questo campo: hanno preso le monete d’oro sotterrate, e poi sono fuggiti come il vento.

Pinocchio rest? a bocca aperta, e non volendo credere alle parole del Pappagallo, cominci? colle mani e colle unghie a scavare il terreno che aveva annaffiato. E scava, scava, fece una buca profonda, ma le monete non c’erano pi?.

Preso allora dalla disperazione[93], torn? di corsa in citt? e and? difilato in tribunale, per denunziare al giudice i due malandrini, che lo avevano derubato.

Il giudice era una scimmia della razza dei Gorilla: una vecchia scimmia rispettabile per la sua grave et?, per la sua barba bianca e per i suoi occhiali d’oro, senza vetri, che era costretto a portare continuamente, a motivo d’una flussione d’occhi.

Pinocchio raccont? per filo e per segno[94] l’iniqua frode, di cui era stato vittima; dette il nome, il cognome dei malandrini, e fin? chiedendo giustizia.

Il giudice lo ascolt? con molta benignit?; prese vivissima parte al racconto: s’intener?: e quando il burattino non ebbe pi? nulla da dire, allung? la mano e suon? il campanello.

A quella scampanellata comparvero subito due cani mastini vestiti da giandarmi.

Allora il giudice, accennando Pinocchio ai giandarmi, disse loro:

– Quel povero diavolo ? stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque, e mettetelo subito in prigione.

Il burattino rimase di princisbecco[95] e voleva protestare: ma i giandarmi, a scanso di[96] perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia.

E l? v’ebbe a rimanere quattro mesi: quattro lunghissimi mesi. Ma il giovane Imperatore che regnava nella citt?, avendo riportato una bella vittoria contro i suoi nemici, ordin? grandi feste pubbliche, fuochi artificiali, e in segno di maggiore esultanza, volle che fossero aperte anche le carceri e mandati fuori tutti i malandrini.

– Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch’io – disse Pinocchio al carceriere.

– Voi no, – rispose il carceriere.

– Domando scusa; – replic? Pinocchio – sono un malandrino anch’io.

– In questo caso avete mille ragioni – disse il carceriere; gli apr? le porte della prigione e lo lasci? scappare.

20. Liberato dalla prigione, si avvia per tornare a casa della Fata; ma lungo la strada trova un serpente, e poi rimane preso alla tagliola

[97]

Figuratevi l’allegrezza di Pinocchio quando si sent? libero: usc? subito fuori della citt? e riprese la strada, che doveva ricondurlo alla Casina della Fata.

A cagione del tempo piovigginoso, la strada era diventata tutta un pantano e ci si andava fino a mezza gamba. Ma il burattino non se ne dava per inteso[98]. Correva a salti, e nel correre le pillacchere gli schizzavano fin sopra il berretto. Intanto andava dicendo fra s? e s?: “Quante disgrazie mi sono accadute… E me le merito! perch? io sono un burattino testardo… e voglio far sempre tutte le cose a modo mio, senza dar retta a quelli che mi vogliono bene!.. Ma ora faccio di cambiar vita e di diventare un ragazzo ammodo e ubbidiente… E il mio babbo mi avr? aspettato?… Ce lo trover? a casa della Fata? ? tanto tempo, pover’uomo, che non lo vedo pi?, che mi struggo di fargli mille carezze e di finirlo dai baci! E la Fata mi perdoner? la brutta azione che le ho fatta?…”

Nel tempo che diceva cos?, si ferm? spaventato, e fece quattro passi indietro.

Che cosa aveva veduto?

Aveva veduto un grosso Serpente, disteso attraverso alla strada, che aveva la pelle verde, gli occhi di fuoco e la coda appuntata.

Impossibile immaginarsi la paura del burattino: il quale, allontanatosi pi? di mezzo chilometro, si mise a sedere, aspettando che il Serpente se ne andasse per i fatti suoi e lasciasse libero il passo della strada.

Aspett? un’ora; due ore; tre ore: ma il Serpente era sempre l?, e, anche di lontano, si vedeva il rosseggiare de’ suoi occhi di fuoco e la colonna di fumo che gli usciva dalla punta della coda.

Allora Pinocchio si avvicin? a pochi passi di distanza, e facendo una vocina dolce disse al Serpente:

– Scusi, signor Serpente, che mi farebbe il piacere di tirarsi un pochino da una parte, tanto da lasciarmi passare?

Fu lo stesso che dire al muro. Nessuno si mosse.

Allora riprese colla solita vocina:

– Deve sapere, signor Serpente, che io vado a casa, dove c’? il mio babbo che mi aspetta e che ? tanto tempo che non lo vedo pi?!..

Aspett? un segno di risposta a quella domanda: ma la risposta non venne: anzi il Serpente, che fin allora pareva arzillo e pieno di vita, divent? immobile. Gli occhi gli si chiusero e la coda gli smesse di fumare.

– Che sia morto davvero?… – disse Pinocchio, e fece l’atto di scavalcarlo, per passare dall’altra parte della strada. Ma non aveva ancora finito di alzare la gamba, che il Serpente si rizz? all’improvviso: e il burattino, nel tirarsi indietro spaventato, inciamp? e cadde per terra.

E per l’appunto cadde cos? male, che rest? col capo conficcato nel fango della strada e con le gambe ritte su in aria.

Alla vista di quel burattino, che sgambettava con una velocit? incredibile, il Serpente fu preso da una tal convulsione di risa, che ridi, ridi, ridi, alla fine, dallo sforzo del troppo ridere, gli si strapp? una vena sul petto: e quella volta mor? davvero.

Allora Pinocchio ricominci? a correre per arrivare a casa della Fata. Ma lungo la strada, non potendo pi? reggere ai morsi terribili della fame, salt? in un campo coll’intenzione di cogliere poche ciocche d’uva.!

Appena giunto sotto la vite, crac… sent? stringersi le gambe da due ferri taglienti.

Il povero burattino era rimasto preso a una tagliola appostata da alcuni contadini per beccarvi alcune grosse faine, che erano il flagello di tutti i pollai del vicinato.

21. Pinocchio ? preso da un contadino, il quale lo costringe a far da cane di guardia a un pollaio

Pinocchio si dette a piangere: ma erano pianti e grida inutili, perch? l? all’intorno non si vedevano case e dalla strada non passava anima viva.

Intanto si fece notte.

Un po’ per lo spasimo della tagliola che gli segava gli stinchi, e un po’ per la paura di trovarsi solo e al buio in mezzo a quei campi, il burattino principiava quasi a svenirsi; quando a un tratto, vedendosi passare una lucciola, la chiam? e le disse:

– O Lucciolina, mi faresti la carit? di liberarmi da questo supplizio?…

– Povero figliolo! – replic? la Lucciola. – Come mai sei rimasto colle gambe fra codesti ferri arrotati?

– Sono entrato nel campo per cogliere due grappoli di quest’uva, e…

– Ma l’uva era tua?

– No…

– E allora chi t’ha insegnato a portar via la roba degli altri?…

– Avevo fame…

– La fame, ragazzo mio, non ? una buona ragione per potersi appropriare la roba che non ? nostra…

– ? vero, ? vero! – grid? Pinocchio piangendo – ma un’altra volta non lo far? pi?.

A questo punto il dialogo fu interrotto da un piccolissimo rumore di passi, che si avvicinavano. Era il padrone del campo che veniva in punta di piedi a vedere se qualcuna di quelle faine fosse rimasta presa al trabocchetto della tagliola.

E la sua meraviglia fu grandissima quando s’accorse che c’era rimasto preso un ragazzo.

– Ah, ladro! – disse il contadino – dunque sei tu che mi porti via le galline?

– Io no, io no! – grid? Pinocchio. – Io sono entrato nel campo per prendere soltanto due grappoli d’uva!

– Chi ruba l’uva ? capacissimo di rubare anche i polli. Ti dar? una lezione da ricordartene per un pezzo[99].

E aperta la tagliola, afferr? il burattino per la collottola e lo port? di peso fino a casa, come si porterebbe un agnellino di latte.

Arrivato che fu sull’aia dinanzi alla casa, lo scaravent? in terra: e tenendogli un piede sul collo, gli disse:

– Oramai ? tardi e voglio andare a letto. I nostri conti li aggiusteremo domani. Intanto, siccome oggi m’? morto il cane che mi faceva la guardia di notte, tu prenderai subito il suo posto. Tu mi farai da cane di guardia.

Detto fatto, gl’infil? al collo un grosso collare tutto coperto di spunzoni di ottone. Al collare c’era attaccata una lunga catenella di ferro: e la catenella era fissata nel muro.

– Se questa notte – disse il contadino – cominciasse a piovere, tu puoi andare a cuccia in quel casotto di legno, dove c’? sempre la paglia che ha servito di letto per quattr’anni al mio povero cane. E se per disgrazia venissero i ladri, ricordati di stare a orecchi ritti e di abbaiare.

Dopo quest’ultimo avvertimento, il contadino entr? in casa chiudendo la porta: e il povero Pinocchio rimase sull’aia pi? morto che vivo, a motivo del freddo, della fame e della paura. E diceva piangendo:

– Mi sta bene!.. Pur troppo mi sta bene! Ho voluto fare lo svogliato, ho voluto dar retta ai cattivi compagni, e per questo la fortuna mi perseguita sempre. Se fossi stato un ragazzino per bene, come ce n’? tanti; se avessi avuto voglia di studiare e di lavorare, se fossi rimasto in casa col mio povero babbo, a quest’ora non mi troverei qui a fare il cane di guardia alla casa di un contadino. Oh se potessi rinascere un’altra volta!..

Fatto questo piccolo sfogo[100], che gli venne proprio dal cuore, entr? dentro il casotto e si addorment?.

Óïðàæíåíèÿ

1. Âûáåðèòå ïðàâèëüíûé âàðèàíò:

1. Il burattinaio dette a Pinocchio dieci monete d’oro.

2. Il burattinaio dette a Pinocchio venti monete d’oro.

3. Il burattinaio dette a Pinocchio cinque monete d’oro.

4. Il burattinaio dette a Pinocchio tre monete d’oro.


2. Âñòàâüòå ïðîïóùåííîå ñëîâî:

1. Ma non aveva ancora finito di alzare la ___, che il Serpente si rizz? all’improvviso come una molla scattata.

2. In quel mentre sent? una gran ___: voltatosi in su, vide sopra un albero un grosso Pappagallo.

3. Nel tempo che parlavano cos?, Pinocchio ___ che il Gatto era zoppo dalla gamba destra davanti.

4. Allora Pinocchio ___ a correre per arrivare a casa della Fata.


3. Ïîñòàâüòå ãëàãîëû â íóæíóþ ôîðìó:

1. E la sua meraviglia (essere) grandissima quando (accorgersi) che ci (rimanere) preso un ragazzo.

2. (vedere) un grosso Serpente, disteso attraverso alla strada, che (avere) la pelle verde, gli occhi di fuoco e la coda appuntata.

3. Nel tempo che (dire) cos?, (fermarsi) spaventato, e (fare) quattro passi indietro.

4. A quella scampanellata (comparire) subito due can mastini vestiti da giandarmi.


4. Âûáåðèòå íóæíûé ãëàãîë:

Il povero burattino ____ mille volte la Volpe e il Gatto.

1. aiut?

2. ringrazi?

3. borbogli?

4. rise


5. Îòâåòüòå íà âîïðîñû:

1. Perch? Mangiafoco perdona a Pinocchio?

2. Dove va Pinocchio con la Volpe e il Gatto?

3. Che cosa ha mangiato il burattino all’osteria?

4. Che cosa hanno fatto gli assassini con Pinocchio?

5. Raccontare il testo.

Îòâåòû:

1. Il burattinaio dette Pinocchio a cinque monete d’oro.

2. 1. gamba. 2. risata. 3. si accorse. 4. ricominci?.

3. 1. fu, s’accorse, era rimasto. 2. aveva veduto, aveva. 3. diceva, si ferm?, fece. 4. comparvero.

4. ringrazi?.

22. Pinocchio scopre i ladri, e in ricompensa di essere stato fedele vien posto in libert?

Ed era gi? pi? di due ore che dormiva; quando verso la mezzanotte fu svegliato da un bisbiglio e da un pissi-pissi di vocine strane. Messa fuori la punta del naso dalla buca del casotto, vide riunite a consiglio quattro bestiole di pelame scuro, che parevano gatti. Ma non erano gatti: erano faine, ghiottissimi d’uova e di pollastrine giovani. Una di queste faine and? alla buca del casotto e disse sottovoce:

– Buona sera, Melampo.

– Io non mi chiamo Melampo – rispose il burattino.

– O dunque chi sei?

– Io sono Pinocchio.

– E che cosa fai cost??

– Faccio il cane di guardia.

– O Melampo dov’?? dov’? il vecchio cane, che stava in questo casotto?

– ? morto questa mattina.

– Morto? Povera bestia!.. Era tanto buono!.. Ma anche te mi sembri un cane di garbo.

– Domando scusa, io non sono un cane!..

– O chi sei?

– Io sono un burattino.

– E fai da cane di guardia?

– Pur troppo: per mia punizione!..

– Ebbene, io ti propongo gli stessi patti, che avevo col defunto Melampo: e sarai contento. Noi verremo una volta la settimana a visitare di notte questo pollaio, e porteremo via otto galline. Di queste galline, sette le mangeremo noi, e una la daremo a te, a condizione[101] che tu faccia finta di dormire e non ti venga mai l’estro di abbaiare e di svegliare il contadino.

– E Melampo faceva proprio cos?? – domand? Pinocchio.

– Faceva cos?, e fra noi e lui, siamo andati sempre d’accordo. Dormi dunque tranquillamente, e stai sicuro che prima di partire di qui, ti lasceremo sul casotto una gallina pelata per la colazione di domani. Ci siamo intesi bene?

– Anche troppo bene!.. – rispose Pinocchio: e tentenn? il capo in un modo minaccioso, come se avesse voluto dire: – Fra poco ci riparleremo!..

Quando le quattro faine andarono al pollaio, che rimaneva appunto vicinissimo al casotto del cane; e aperta a furia di denti la porticina di legno, che ne chiudeva l’entrata, vi sgusciarono dentro, una dopo l’altra. Ma non erano ancora finite d’entrare, che sentirono la porticina richiudersi.

Quello che l’aveva richiusa era Pinocchio; il quale, non contento di averla richiusa, vi pos? davanti per maggior sicurezza una grossa pietra.

E poi cominci? ad abbaiare: b?-b?-b?-b?.

A quell’abbaiata, il contadino salt? il letto, e preso il fucile e affacciatosi alla finestra, domand?:

– Che c’? di nuovo?

– Ci sono i ladri! – rispose Pinocchio.

– Dove sono?

– Nel pollaio.

– Ora scendo subito.

E difatti il contadino scese: entr? di corsa nel pollaio, e dopo avere acchiappate e rinchiuse in un sacco le quattro faine, disse loro con accento di vera contentezza:

– Alla fine siete cascate nelle mie mani! Potrei punirvi, ma no! Mi contenter?, invece, di portarvi domani all’oste del vicino paese, il quale vi speller? e vi cuciner? a uso lepre dolce e forte.

Quindi, avvicinatosi a Pinocchio, cominci? a fargli molte carezze, e, fra le altre cose, gli domand?:

– Com’hai fatto a scoprire il complotto di queste quattro ladroncelle? E dire che Melampo, il mio fido Melampo, non s’era mai accorto di nulla!..

Il burattino, allora, avrebbe potuto raccontare quel che sapeva; ma ricordatosi che il cane era morto, pens? subito dentro di s?: – A che serve accusare i morti?… I morti son morti, e la miglior cosa che si possa fare ? quella di lasciarli in pace!..

– All’arrivo delle faine sull’aia, eri sveglio o dormivi? – continu? a chiedergli il contadino.

– Dormivo – rispose Pinocchio – ma le faine mi hanno svegliato coi loro chiacchiericci, e una ? venuta al casotto per dirmi: “Se prometti di non abbaiare, e di non svegliare il padrone, noi ti regaleremo una pollastra pelata!..” Capite, eh? Perch? bisogna sapere che io sono un burattino, che avr? tutti i difetti di questo mondo: ma non avr? mai quello di star di balla e di reggere il sacco[102] alla gente disonesta!

– Bravo ragazzo! – grid? il contadino, battendogli su una spalla. – Cotesti sentimenti ti fanno onore: e per provarti la mia grande soddisfazione, ti lascio libero fin d’ora di tornare a casa.

23. Pinocchio piange la morte della bella Bambina dai capelli turchini: poi trova un Colombo, che lo porta sulla riva del mare, e l? si getta nell’acqua per andare in aiuto del suo babbo Geppetto

Appena Pinocchio non sent? pi? il peso durissimo e umiliante di quel collare intorno al collo, si pose a scappare attraverso ai campi, e non si ferm? un solo minuto finch? non ebbe raggiunta la strada maestra, che doveva ricondurlo alla Casina della Fata.

Arrivato sulla strada maestra, si volt? in gi? a guardare nella pianura, e vide benissimo il bosco, dove aveva incontrato la Volpe e il Gatto: vide, fra mezzo agli alberi, la cima di quella Quercia grande, ma, guarda di qui, guarda di l?, non gli fu possibile di vedere la piccola casa della bella Bambina dai capelli turchini.

Allora ebbe una specie di tristo presentimento, e datosi a correre con quanta forza gli rimaneva nelle gambe, si trov? in pochi minuti sul prato, dove era una volta la Casina bianca. Ma c’era, invece, una piccola pietra di marmo, sulla quale si leggevano queste dolorose parole:

QUI GIACE

LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI

MORTA DI DOLORE

PER ESSERE STATA ABBANDONATA DAL SUO

FRATELLINO PINOCCHIO

Come rimanesse il burattino, quand’ebbe compitate alla peggio quelle parole, lo lascio pensare a voi. Cadde a terra, e coprendo di mille baci quel marmo, dette in un grande scoppio di pianto. Pianse tutta la notte, e la mattina dopo, sul far del giorno, piangeva sempre.

E piangendo diceva: “O Fatina mia, perch? sei morta?… perch?, invece di te, non sono morto io, che sono tanto cattivo, mentre tu eri tanto buona?… E il mio babbo dove sar?? O Fatina mia, dimmi dove posso trovarlo, ch? voglio stare sempre con lui, e non lasciarlo pi?! pi?! pi?!.. O Fatina mia, dimmi che non ? vero che sei morta!.. se vuoi bene al tuo fratellino, ritorna viva come prima!.. Non ti dispiace a vedermi solo, abbandonato da tutti?… Ora che ho perduto te e il mio babbo, chi mi dar? da mangiare? Dove ander? a dormire la notte? Oh! sarebbe meglio, cento volte meglio, che morissi anch’io! S?, voglio morire! ih! ih! ih!..”

Intanto pass? su per aria un grosso Colombo, il quale soffermatosi, a ali distese, gli grid? da una grande altezza:

– Dimmi, bambino, che cosa fai costaggi??

– Non lo vedi? piango! – disse Pinocchio alzando il capo verso quella voce.

– Dimmi – soggiunse allora il Colombo – non conosci per caso fra i tuoi compagni, un burattino, che ha nome Pinocchio?

– Pinocchio?… Hai detto Pinocchio? – ripet? il burattino saltando subito in piedi. – Pinocchio sono io!

Il Colombo, a questa risposta, si cal? velocemente e venne a posarsi a terra. Era pi? grosso di un tacchino.

– Conoscerai dunque anche Geppetto! – domand? al burattino.

– ? il mio povero babbo! Ti ha forse parlato di me? Mi conduci da lui? ma ? sempre vivo? rispondimi per carit?; ? sempre vivo?

– L’ho lasciato tre giorni fa sulla spiaggia del mare.

– Che cosa faceva?

– Si fabbricava una piccola barchetta, per traversare l’Oceano. Quel pover’uomo sono pi? di quattro mesi che gira per il mondo in cerca di te: ora ha voluto cercarti nei paesi lontani del nuovo mondo.

– Quanto c’? di qui alla spiaggia? – domand? Pinocchio.

– Pi? di mille chilometri.

– Mille chilometri? O Colombo mio, che bella cosa potessi avere le tue ali!..

– Se vuoi venire, ti ci porto io.

– Come?

– A cavallo sulla mia groppa. Sei peso dimolto?

– Son leggiero come una foglia.

E l?, senza stare a dir altro, Pinocchio salt? sulla groppa al Colombo; e messa una gamba di qui e l’altra di l?, come fanno i cavallerizzi.

Il Colombo prese l’aire[103] e in pochi minuti arriv? col volo tanto in alto, che toccava quasi le nuvole. Giunto a quell’altezza straordinaria, il burattino ebbe la curiosit? di voltarsi in gi? a guardare: e fu preso da tanta paura che, per evitare il pericolo di venir di sotto, si avviticchi? colle braccia al collo della sua piumata cavalcatura.

Volarono tutto il giorno. Sul far della sera[104], il Colombo disse:

– Ho una gran sete!

– E io una gran fame! – soggiunse Pinocchio.

– Fermiamoci a questa colombaia pochi minuti; e dopo ci rimetteremo in viaggio, per essere domattina all’alba sulla spiaggia del mare.

Entrarono in una colombaia deserta, dove c’era soltanto una catinella piena d’acqua e un cestino ricolmo di vecce.

Il burattino, in tempo di vita sua, non aveva mai potuto patire le vecce, ma quella sera ne mangi? a strippapelle[105], e quando l’ebbe quasi finite, si volt? al Colombo e gli disse:

– Non avrei mai creduto che le vecce fossero cos? buone!

– Bisogna persuadersi, ragazzo mio, – replic? il Colombo – che quando non c’? altro da mangiare, anche le vecce diventano squisite! La fame non ha capricci n? ghiottonerie!

Fatto alla svelta[106] un piccolo spuntino, si riposero in viaggio, e via! La mattina dopo arrivarono sulla spiaggia del mare.

Il Colombo pos? a terra Pinocchio e riprese subito il volo e spar?.

La spiaggia era piena di gente che urlava e gesticolava, guardando verso il mare.

– Che cos’? accaduto? – domand? Pinocchio a una vecchina.

– Gli ? accaduto che un povero babbo, avendo perduto il figliolo, gli ? voluto entrare in una barchetta per andare a cercarlo di l? dal mare; e il mare oggi ? molto cattivo e la barchetta sta per andare sott’acqua…

– Dov’? la barchetta?

– Eccola laggi?, diritta al mio dito – disse la vecchia, accennando una piccola barca che, veduta a quella distanza, pareva un guscio di noce con dentro un omino piccino.

Pinocchio appunt? gli occhi da quella parte, e dopo aver guardato attentamente, cacci? un urlo[107] acutissimo gridando:

– Gli ? il mi’ babbo! gli ? il mi’ babbo!

Intanto la barchetta ora spariva fra i grossi cavalloni, ora tornava a galleggiare: e Pinocchio, ritto sulla punta di un alto scoglio, non finiva pi? dal chiamare il suo babbo per nome, e dal fargli molti segnali colle mani e perfino col berretto che aveva in capo.

E parve che Geppetto riconoscesse il figliolo, perch? si lev? il berretto anche lui e lo salut? e, a furia di gesti, gli fece capire che sarebbe tornato volentieri indietro; ma il mare era tanto grosso, che gl’impediva di lavorare col remo e di potersi avvicinare alla terra.

Tutt’a un tratto venne una terribile ondata, e la barca spar?. Aspettarono che la barca tornasse a galla[108]; ma la barca non si vide pi? tornare.

– Pover’uomo – dissero allora i pescatori, e brontolando sottovoce una preghiera, si mossero per tornarsene alle loro case. Ma udirono un urlo disperato, e voltandosi indietro, videro un ragazzetto che si gettava in mare gridando:

– Voglio salvare il mio babbo!

Pinocchio, essendo tutto di legno, galleggiava e nuotava come un pesce. Ora si vedeva sparire sott’acqua, portato dall’impeto dei flutti, ora riappariva fuori a grandissima distanza dalla terra. Alla fine lo persero d’occhio e non lo videro pi?.

– Povero ragazzo! – dissero allora i pescatori, e brontolando sottovoce una preghiera, tornarono alle loro case.

24. Pinocchio arriva all’isola delle “Api industriose” e ritrova la Fata

Pinocchio, animato dalla speranza di arrivare in tempo a dare aiuto al suo povero babbo, nuot? tutta la notte.

E che orribile notte fu quella! Diluvi?, grandin?, tuon? spaventosamente.

Sul far del mattino, gli riusc? di vedere poco distante una lunga striscia di terra. Era un’isola in mezzo al mare.

Allora fece di tutto per arrivare a quella spiaggia: ma inutilmente. Le onde, rincorrendosi e accavallandosi, se lo abballottavano fra di loro. Alla fine, e per sua buona fortuna, venne un’ondata tanto prepotente, che lo scaravent? sulla rena del lido.

Il colpo fu cos? forte che, battendo in terra, gli crocchiarono tutte le costole e tutte le congiunture: ma si consol? subito col dire:

– Anche per questa volta l’ho scampata bella!

Intanto a poco a poco il cielo si rasseren?; il sole apparve fuori in tutto il suo splendore, e il mare divent? tranquillissimo e buono come un olio.

Allora il burattino distese i suoi panni al sole per rasciugarli, e si pose a guardare di qua e di l? se per caso avesse potuto scorgere su quella immensa spianata d’acqua una piccola barchetta con un omino dentro. Ma dopo aver guardato ben bene, non vide altro dinanzi a s? che cielo, mare e qualche vela di bastimento, ma cos? lontana lontana, che pareva una mosca.

– Sapessi almeno come si chiama quest’isola! – andava dicendo. – Sapessi almeno se quest’isola ? abitata da gente che non abbia il vizio di attaccare i ragazzi ai rami degli alberi! ma a chi mai posso domandarlo? a chi, se non c’? nessuno?…

Quest’idea di trovarsi solo, solo, in mezzo a quel gran paese disabitato, gli messe addosso tanta malinconia, che stava l? l? per piangere; quando tutt’a un tratto vide passare, a poca distanza dalla riva, un grosso pesce, che se ne andava per i fatti suoi, con tutta la testa fuori dell’acqua.

Non sapendo come chiamarlo per nome, il burattino gli grid? a voce alta, per farsi sentire:

– Ehi, signor pesce, che mi permetterebbe una parola?

– Anche due – rispose il pesce, il quale era un Delfino cos? garbato, come se ne trovano pochi in tutti i mari del mondo.

– Mi farebbe il piacere di dirmi se in quest’isola vi sono dei paesi dove si possa mangiare, senza pericolo d’esser mangiati?

– Ve ne sono sicuro – rispose il Delfino. – Anzi, ne troverai uno poco lontano di qui.

– E che strada si fa per andarvi?

– Devi prendere quella viottola l?, a mancina[109], e camminare sempre diritto. Non puoi sbagliare.

– Mi dica un’altra cosa. Lei che passeggia tutto il giorno e tutta la notte per il mare, non avrebbe incontrato per caso una piccola barchettina con dentro il mi’ babbo?

– E chi ? il tuo babbo?

– Lui ? il pi? babbo buono del mondo, come io sono il figliolo pi? cattivo che si possa dare.

– Colla burrasca che ha fatto questa notte – rispose il Delfino – la barchetta sar? andata sott’acqua.

– E il mio babbo?

– A quest’ora l’avr? inghiottito il terribile pescecane.

– Che ? grosso dimolto questo pescecane? – domand? Pinocchio, che di gi? cominciava a tremare dalla paura.

– Se gli ? grosso!.. – replic? il Delfino. – Ti dir? che ? pi? grosso di un casamento di cinque piani, ed ha una bocca cos? larga e profonda, che ci passerebbe tutto il treno della strada ferrata.

– Mamma mia! – grid? spaventato il burattino; e rivestitosi in fretta, si volt? al Delfino e gli disse:

– Arrivedella, signor pesce: scusi tanto l’incomodo e mille grazie della sua garbatezza.

Detto ci?, prese subito la viottola e cominci? a camminare di un passo svelto. E a ogni pi? piccolo rumore che sentiva, si voltava subito a guardare indietro, per la paura di vedersi inseguire da quel terribile pescecane.

Dopo aver camminato pi? di mezz’ora, arriv? a un piccolo paese detto “il paese delle Api industriose”. Le strade formicolavano di persone che correvano di qua e di l? per le loro faccende: tutti lavoravano, tutti avevano qualche cosa da fare.

– Ho capito; – disse subito quello svogliato di Pinocchio – questo paese non ? fatto per me! Io non son nato per lavorare!

Intanto la fame lo tormentava; perch? erano oramai passate ventiquattr’ore che non aveva mangiato pi? nulla.

Che fare?

Non gli restavano che due modi per potersi sdigiunare: o chiedere un po’ di lavoro, o chiedere in elemosina un soldo o un boccon di pane.

A chiedere l’elemosina si vergognava: perch? il suo babbo gli aveva predicato sempre che l’elemosina hanno il diritto di chiederla solamente i vecchi e gl’infermi. Tutti gli altri hanno l’obbligo di lavorare: e se non lavorano e patiscono la fame, tanto peggio per loro.

In quel frattempo, pass? per la strada un uomo tutto sudato, il quale da s? solo tirava con gran fatica due carretti carichi di carbone.

Pinocchio gli si accost? e gli disse sottovoce:

– Mi fareste la carit? di darmi un soldo, perch? mi sento morir dalla fame?

– Non un soldo solo – rispose il carbonaio – ma te ne do quattro, a patto che[110] tu m’aiuti a tirare fino a casa questi due carretti di carbone.

– Mi meraviglio! – rispose il burattino quasi offeso; —io non ho mai tirato il carretto!

– Meglio per te! – rispose il carbonaio. – Allora, ragazzo mio, se ti senti davvero morir dalla fame, mangia due belle fette della tua superbia.

Dopo pochi minuti pass? per la via un muratore, che portava sulle spalle un corbello di calcina.

– Fareste, galantuomo, la carit? d’un soldo a un povero ragazzo?

– Volentieri; vieni con me a portar calcina – rispose il muratore – e invece d’un soldo, te ne dar? cinque.

– Ma la calcina ? pesa – replic? Pinocchio – e io non voglio durar fatica.

– Se non vuoi durar fatica, allora, ragazzo mio, divertiti a sbadigliare.

In men di mezz’ora passarono altre venti persone: e a tutte Pinocchio chiese un po’ d’elemosina, ma tutte gli risposero:

– Non ti vergogni? Invece di fare il bighellone per la strada, va’ piuttosto a cercarti un po’ di lavoro, e impara a guadagnarti il pane!

Finalmente pass? una buona donna che portava due brocche d’acqua.

– Vi contentate, buona donna, che io beva una sorsata d’acqua dalla vostra brocca? – disse Pinocchio.

– Bevi pure, ragazzo mio! – disse la donna, posando le due brocche in terra.

Quando Pinocchio ebbe bevuto, borbott? a mezza voce:

– La sete me la son levata! Cos? mi potessi levar la fame!..

La buona donna soggiunse subito:

– Se mi aiuti a portare a casa una di queste brocche d’acqua, ti dar? un pezzo di pane.

Pinocchio guard? la brocca e non rispose n? s? n? no.

– E insieme col pane ti dar? un bel piatto di cavolfiore condito coll’olio e coll’aceto – soggiunse la buona donna.

Pinocchio non rispose n? s? n? no.

– E dopo il cavolfiore ti dar? un bel confetto ripieno di rosolio.

Alle seduzioni di quest’ultima ghiottoneria, Pinocchio non seppe pi? resistere e disse:

– Pazienza! vi porter? la brocca fino a casa!

La brocca era molto pesa, e il burattino si rassegn? a portarla in capo.

Arrivati a casa, la buona donna fece sedere Pinocchio a una piccola tavola, e gli pose davanti il pane, il cavolfiore condito e il confetto.

Pinocchio non mangi?, ma diluvi?.

Calmati i morsi rabbiosi della fame, allora alz? il capo per ringraziare la sua benefattrice: ma cacci? un lunghissimo ohhh! di meraviglia, e rimase l? incantato, cogli occhi spalancati.

– Che cos’? mai tutta questa meraviglia? – disse ridendo la buona donna.

– Egli ?… – rispose balbettando Pinocchio – egli ?…, che voi mi somigliate… voi mi rammentate… s?, s?, s?, la stessa voce… gli stessi occhi… gli stessi capelli… anche voi avete i capelli turchini… come lei!.. O Fatina mia!.. o Fatina mia!.. ditemi che siete voi, proprio voi!.. Non mi fate pi? piangere!

E nel dir cos?, Pinocchio piangeva, e gettatosi ginocchioni per terra, abbracciava i ginocchi di quella donna.

25. Pinocchio promette alla Fata di esser buono e di studiare, perch? ? stufo di fare il burattino e vuol diventare un bravo ragazzo

[111]

In sulle prime, la buona donnina cominci? col dire che lei non era la piccola Fata dai capelli turchini: ma poi, vedendosi oramai scoperta, disse a Pinocchio:

– Birba d’un burattino! Come mai ti sei accorto che ero io?

– Gli ? il gran bene che vi voglio, quello che me l’ha detto.

– Ti ricordi, eh? Mi lasciasti bambina, e ora mi ritrovi donna; tanto donna, che potrei quasi farti da mamma.

– E io vi chiamer? la mia mamma. Gli ? tanto tempo che mi struggo di avere una mamma come tutti gli altri ragazzi!.. Ma come avete fatto a crescere cos? presto?

– ? un segreto.

– Insegnatemelo: vorrei crescere un poco anch’io.

– Ma tu non puoi crescere – replic? la Fata.

– Perch??

– Perch? i burattini non crescono mai. Nascono burattini, vivono burattini e muoiono burattini.

– Oh! sono stufo di far sempre il burattino! – grid? Pinocchio, dandosi uno scappellotto. – Sarebbe ora che diventassi anch’io un uomo…

– E lo diventerai, se saprai meritarlo…

– Davvero? E che posso fare per meritarmelo?

– Una cosa facilissima: avvezzarti a essere un ragazzino perbene.

– O che forse non sono?

– Tutt’altro! I ragazzi perbene sono ubbidienti, e tu invece…

– E io non ubbidisco mai.

– I ragazzi perbene prendono amore allo studio e al lavoro, e tu…

– E io, invece, faccio il vagabondo tutto l’anno.

– I ragazzi perbene dicono sempre la verit?…

– E io sempre le bugie.

– I ragazzi perbene vanno volentieri alla scuola…

– E a me la scuola mi fa venire i dolori di corpo. Ma da oggi in poi voglio mutar vita.

– Me lo prometti?

– Lo prometto. Voglio diventare un ragazzino perbene, e voglio essere la consolazione del mio babbo… Dove sar? il mio povero babbo a quest’ora?

– Non lo so.

– Avr? mai la fortuna di poterlo rivedere e abbracciare?

– Credo di s?: anzi ne sono sicura.

A questa risposta fu tale e tanta la contentezza di Pinocchio, che prese le mani alla Fata e cominci? a baciargliele. Poi le domand?:

– Dimmi, mammina: dunque non ? vero che tu sia morta?

– Par di no – rispose sorridendo la Fata.

– Se tu sapessi che dolore che provai, quando lessi qui giace…

– Lo so: ed ? per questo che ti ho perdonato. La sincerit? del tuo dolore mi fece conoscere che tu avevi il cuore buono. Ecco perch? son venuta a cercarti fin qui. Io sar? la tua mamma…

– Oh! che bella cosa! – grid? Pinocchio saltando dall’allegrezza.

– Tu mi ubbidirai e farai sempre quello che ti dir? io.

– Volentieri, volentieri, volentieri!

– Fino da domani – soggiunse la Fata – tu comincerai coll’andare a scuola.

Pinocchio divent? subito un po’ meno allegro.

– Poi sceglierai a tuo piacere un’arte o un mestiere…

Pinocchio divent? serio.

– Che cosa brontoli fra i denti? – domand? la Fata con accento risentito.

– Dicevo… – mugol? il burattino a mezza voce – che oramai per andare a scuola mi pare un po’ tardi…

– No. Tieni a mente che per istruirsi e per imparare non ? mai tardi.

– Ma io non voglio fare n? arti n? mestieri…

– Perch??

– Perch? a lavorare mi par fatica.

– Ragazzo mio, – disse la Fata – quelli che dicono cos?, finiscono quasi sempre o in carcere o allo spedale. L’uomo nasca ricco o povero, ? obbligato in questo mondo a far qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a lasciarsi prendere dall’ozio! L’ozio ? una bruttissima malattia e bisogna guarirla subito, fin da bambini: se no, quando siamo grandi, non si guarisce pi?.

Queste parole toccarono l’animo di Pinocchio, il quale rialzando vivacemente la testa, disse alla Fata:

– Io studier?, io lavorer?, io far? tutto quello che mi dirai, perch?, insomma, la vita del burattino mi ? venuta a noia, e voglio diventare un ragazzo. Me l’hai promesso, non ? vero?

– Te l’ho promesso, e ora dipende da te.

26. Pinocchio va co’ suoi compagni di scuola in riva al mare, per vedere il terribile Pescecane

Il giorno dopo Pinocchio and? alla Scuola comunale.

Figuratevi quelle birbe di ragazzi, quando videro entrare nella loro scuola un burattino! Fu una risata, che non finiva pi?. Chi gli faceva uno scherzo, chi un altro: chi gli levava il berretto di mano: chi gli tirava il giubbettino di dietro; chi si provava a fargli coll’inchiostro due grandi baffi sotto il naso, e chi si attentava perfino a legargli dei fili ai piedi e alle mani, per farlo ballare.

Per un poco Pinocchio us? disinvoltura e tir? via; ma finalmente, sentendosi scappar la pazienza, si rivolse a quelli che pi? lo tafanavano e si pigliavano gioco di lui, e disse loro a muso duro[112]:

– Badate, ragazzi: io non son venuto qui per essere il vostro buffone. Io rispetto gli altri e voglio esser rispettato.

– Bravo berlicche! Hai parlato come un libro stampato! – urlarono quei monelli: e uno di loro allung? la mano coll’idea di prendere il burattino per la punta del naso.

Ma non fece a tempo: perch? Pinocchio stese la gamba sotto la tavola e gli consegn? una pedata negli stinchi.

– Ohi! che piedi duri! – url? il ragazzo stropicciandosi il livido che gli aveva fatto il burattino.

– E che gomiti!.. anche pi? duri dei piedi! – disse un altro che, per i suoi scherzi sguaiati, s’era beccata una gomitata nello stomaco.

Fatto sta che dopo quel calcio e quella gomitata, Pinocchio acquist? subito la stima e la simpatia di tutti i ragazzi di scuola: e tutti gli facevano mille carezze e tutti gli volevano un ben dell’anima[113].

E anche il maestro se ne lodava, perch? lo vedeva attento, studioso, intelligente, sempre il primo a entrare nella scuola, sempre l’ultimo a rizzarsi in piedi, a scuola finita.

Il solo difetto che avesse era quello di bazzicare troppi compagni: e fra questi, c’erano molti monelli conosciutissimi per la loro poca voglia di studiare.

Il maestro lo avvertiva tutti i giorni, e anche la buona Fata non mancava di dirgli e di ripetergli pi? volte:

– Bada, Pinocchio! Quei tuoi compagni di scuola finiranno prima o poi col farti perdere l’amore allo studio e col tirarti addosso qualche grossa disgrazia.

– Non c’? pericolo! – rispondeva il burattino, e toccandosi coll’indice in mezzo alla fronte, come per dire: “C’? tanto giudizio qui dentro!”

Ora avvenne che un bel giorno, mentre camminava verso la scuola, incontr? un branco dei soliti compagni, che, andandogli incontro, gli dissero:

– Sai la gran notizia?

– No.

– Qui nel mare vicino ? arrivato un Pescecane.

– Davvero?… Che sia quel medesimo Pescecane di quando affog? il mio povero babbo?

– Noi andiamo alla spiaggia per vederlo. Vuoi venire anche tu?

– Io no: io voglio andare a scuola.

– Che t’importa della scuola? Alla scuola ci anderemo domani. Con una lezione di pi? o con una di meno, si rimane sempre gli stessi somari.

– E il maestro che dir??

– Il maestro si lascia dire. ? pagato apposta per brontolare tutti i giorni.

– E la mia mamma?

– Le mamme non sanno mai nulla – risposero quei malanni.

– Sapete che cosa far?? – disse Pinocchio. – Il Pescecane voglio vederlo per certe mie ragioni… ma ander? a vederlo dopo la scuola.

– Povero giucco! – ribatt? uno del branco. – Che credi che un pesce di quella grossezza voglia star l? a fare il comodo tuo? Appena s’? annoiato, piglia il dirizzone per un’altra parte.

– Quanto tempo ci vuole di qui alla spiaggia? – domand? il burattino.

– Fra un’ora, siamo andati e tornati.

– Dunque, via! e chi pi? corre, ? pi? bravo! – grid? Pinocchio.

Dato cos? il segnale della partenza, quel branco di modelli, coi loro libri e i loro quaderni sotto il braccio, si messero a correre attraverso ai campi: e Pinocchio era sempre avanti a tutti: pareva che avesse le ali ai piedi.

Di tanto in tanto[114], voltandosi indietro, canzonava i suoi compagni rimasti a una bella distanza, e nel vederli ansanti, trafelati, polverosi e con tanto di lingua fuori, se la rideva proprio di cuore. Lo sciagurato non sapeva a quali paure e a quali orribili disgrazie andava incontro!..

27. Gran combattimento fra Pinocchio e i suoi compagni: uno de’ quali essendo rimasto ferito, Pinocchio viene arrestato dai carabinieri

Giunto che fu sulla spiaggia, Pinocchio dette subito una grande occhiata sul mare; ma non vide nessun Pescecane. Il mare era tutto liscio.

– O il Pescecane dov’?? – domand?, voltandosi ai compagni.

– Sar? andato a far colazione – rispose uno di loro, ridendo.

– O si sar? buttato sul letto per fare un sonnellino – aggiunse un altro, ridendo pi? forte che mai.

Da quelle risposte sconclusionate, Pinocchio cap? che i suoi compagni gli avevano fatto una brutta celia, disse loro con voce di bizza:

– E ora? che sugo ci avete trovato a darmi ad intendere la storiella del Pescecane?

– Il sugo c’? sicuro!.. – risposero in coro quei monelli.

– E sarebbe?

– Quello di farti perdere la scuola e di farti venire con noi. Non ti vergogni a mostrarti tutti i giorni cos? preciso alla lezione? Non ti vergogni a studiar tanto, come fai?

– E se io studio, che cosa ve ne importa?

– A noi ce ne importa moltissimo, perch? ci costringi a fare una brutta figura[115] col maestro…

– Perch??

– Perch? gli scolari che studiano, fanno sempre scomparire quelli, come noi, che non hanno voglia di studiare. E noi non vogliamo scomparire!

– E allora che cosa devo fare per contentarvi?

– Devi prendere a noia, anche tu, la scuola, la lezione e il maestro, che sono i nostri tre grandi nemici.

– E se io volessi seguitare a studiare?

– Noi non ti guarderemo pi? in faccia, e alla prima occasione ce la pagherai!..

– In verit? mi fate quasi ridere – disse il burattino.

– Ehi, Pinocchio! – grid? allora il pi? grande di quei ragazzi. – Non venir qui a fare lo smargiasso: non venir qui a far tanto il galletto[116]! Ricordati che tu sei solo e noi siamo sette.

– Sette come i peccati mortali – disse Pinocchio con una gran risata.

– Pinocchio! chiedici scusa dell’offesa… o se no, guai a te!..

– Cuc?! – fece il burattino, in segno di canzonatura.

– Pinocchio! la finisce male!..

– Cuc?!

– Ora il cuc? te lo dar? io! – grid? il pi? ardito di quei monelli.

E nel dir cos? gli appiccic? un pugno nel capo.

Ma fu botta e risposta; perch? il burattino rispose subito con un altro pugno: e l?, da un momento all’altro, il combattimento divent? generale.

Pinocchio, sebbene fosse solo, si difendeva come un eroe. Dove i suoi piedi potevano arrivare e toccare, ci lasciavano sempre un livido per ricordo.

Allora i ragazzi pensarono bene di metter mano ai proiettili; e sciolti i fagotti de’ loro libri di scuola, cominciarono a scagliare contro di lui i Sillabari, le Grammatiche, i Racconti del Thouar, il Pulcino della Baccini e altri libri scolastici: ma il burattino, che era d’occhio svelto, faceva sempre civetta[117] a tempo, sicch? i volumi andavano tutti a cascare nel mare.

I pesci, credendo che quei libri fossero roba da mangiare, correvano a frotte a fior d’acqua[118]; ma dopo avere abboccata qualche pagina o qualche frontespizio, la risputavano subito.

Intanto il combattimento s’inferociva sempre pi?, quand’ecco che un grosso Granchio, che era uscito fuori dall’acqua e s’era adagio adagio arrampicato fin sulla spiaggia, grid?:

– Smettetela, birichini che non siete altro! Queste guerre manesche raramente vanno a finir bene. Qualche disgrazia accade sempre!..

Povero Granchio! Fu lo stesso che avesse predicato al vento[119]. Anzi quella birba di Pinocchio gli disse:

– Chetati, Granchio dell’uggia! Va’ piuttosto a letto!..

In quel frattempo i ragazzi occhiarono l? a poca distanza il fagotto dei libri del burattino, e se ne impadronirono.

Fra questi libri, v’era un volume rilegato in cartoncino grosso, colla costola e colle punte di cartapecora. Era un Trattato di Aritmetica.

Uno di quei monelli agguant? quel volume, e lo scagli? con quanta forza aveva nel braccio: ma invece di cogliere il burattino, colse nella testa uno dei compagni; il quale divent? bianco, e non disse altro che queste parole:

– O mamma mia, aiutatemi… perch? muoio!..

Poi cadde disteso sulla rena del lido.

Alla vista di quel morticino, i ragazzi spaventati si dettero a scappare.

Ma Pinocchio rimase l?; e sebbene per il dolore e per lo spavento, anche lui fosse pi? morto che vivo, nondimeno corse a inzuppare il suo fazzoletto nell’acqua del mare e si pose a bagnare la tempia del suo povero compagno di scuola. E lo chiamava per nome e gli diceva:

– Eugenio!.. povero Eugenio mio!.. apri gli occhi, e guardami!.. Perch? non mi rispondi? Apri gli occhi, Eugenio… Se tieni gli occhi chiusi, mi farai morire anche me… O Dio mio! come far? ora a tornare a casa?… Con che coraggio potr? presentarmi alla mia buona mamma? Che sar? di me?… Oh! quant’era meglio, mille volte meglio che fossi andato a scuola!.. Perch? ho dato retta a questi compagni?… E il maestro me l’aveva detto!.. e la mia mamma me l’aveva ripetuto: – Guardati dai cattivi compagni! – Ma io sono un testardo! E dopo mi tocca a scontarle… Dio mio! Che sar? di me?

E Pinocchio continuava a piangere, quando sent? a un tratto un rumore sordo di passi che si avvicinavano.

Si volt?: erano due carabinieri.

– Che cosa fai cost? sdraiato per terra? – domandarono a Pinocchio.

– Assisto questo mio compagno di scuola.

– Che gli ? venuto male?

– Par di s?!..

– Altro che male! – disse uno dei carabinieri, chinandosi e osservando Eugenio da vicino. – Questo ragazzo ? stato ferito in una tempia: chi ? che l’ha ferito?

– Io no! – balbett? il burattino.

– Se non sei stato tu, chi ? stato dunque che l’ha ferito?

– Io no! – ripet? Pinocchio.

– E con che cosa ? stato ferito?

– Con questo libro. – E il burattino raccatt? di terra il Trattato di Aritmetica per mostrarlo al carabiniere.

– E questo libro di chi ??

– Mio.

– Basta cos?: non occorre altro. Rizzati subito, e vien via con noi.

– Ma io…

– Via con noi!..

– Ma io sono innocente…

– Via con noi!

Prima di partire, i carabinieri chiamarono alcuni pescatori e dissero loro:

– Vi affidiamo questo ragazzetto ferito nel capo. Portatelo a casa vostra e assistetelo. Domani torneremo a vederlo.

Quindi si volsero a Pinocchio e dopo averlo messo in mezzo a loro due, gl’intimarono:

– Avanti! e cammina spedito!

Senza farselo ripetere, il burattino cominci? a camminare per quella viottola, che conduceva al paese.

Ma il povero diavolo[120] non sapeva pi? nemmeno lui in che mondo si fosse. Gli pareva di sognare, e che brutto sogno! Era fuori di s?. I suoi occhi vedevano tutto doppio: le gambe gli tremavano. Eppure una spina acutissima gli bucava il cuore: il pensiero, cio?, di dover passare sotto le finestre di casa della sua buona Fata. Avrebbe preferito piuttosto di morire.

Erano gi? arrivati e stavano per entrare in paese, quando una folata di vento lev? di testa a Pinocchio il berretto, portandoglielo lontano una diecina di passi.

– Si contentano – disse il burattino ai carabinieri – che vada a riprendere il mio berretto?

– Vai pure.

Il burattino and?, raccatt? il berretto… ma invece di metterselo in capo, se lo mise in bocca fra i denti, e poi cominci? a correre verso la spiaggia del mare. Andava via come una palla di fucile.

I carabinieri aizzarono dietro un grosso cane mastino, che aveva guadagnato il primo premio a tutte le corse dei cani. Pinocchio correva, e il cane correva pi? di lui: per cui tutta la gente si affacciava alle finestre e si affollava in mezzo alla strada, ansiosa di veder la fine di un palio cos? inferocito. Ma non pot? levarsi questa voglia, perch? fra il can mastino e Pinocchio sollevarono lungo la strada un tal polverone, che dopo pochi minuti non era possibile di veder pi? nulla.

28. Pinocchio corre pericolo di esser fritto in padella, come un pesce

Durante quella corsa disperata, vi fu un momento terribile, in cui Pinocchio si cred? perduto: perch? bisogna sapere che Alidoro (era questo il nome del can mastino) a furia di correre, l’aveva quasi raggiunto.

Basti dire che il burattino sentiva dietro di s? l’ansare affannoso di quella bestia.

Per buona fortuna la spiaggia era oramai vicina e il mare si vedeva l? a pochi passi.

Appena fu sulla spiaggia, il burattino spicc? un bellissimo salto e and? a cascare in mezzo all’acqua. Alidoro invece voleva fermarsi; ma trasportato dall’impeto della corsa, entr? nell’acqua anche lui. E quel disgraziato non sapeva nuotare; per cui cominci? subito ad annaspare colle zampe per reggersi a galla[121]: ma pi? annaspava e pi? andava col capo sott’acqua.

Quando torn? a rimettere il capo fuori, il povero cane aveva gli occhi impauriti, e, abbaiando, gridava:

– Affogo! Aiutami, Pinocchio mio!.. salvami dalla morte!..

A quelle grida il burattino si mosse a compassione, e voltosi al cane gli disse:

– Ma se io ti aiuto a salvarti, mi prometti di non darmi pi? noia e di non corrermi dietro?

– Te lo prometto!

Pinocchio esit? un poco: ma poi ricordandosi che il suo babbo gli aveva detto tante volte che a fare una buona azione non ci si scapita mai, and? nuotando a raggiungere Alidoro, e, presolo per la coda con tutte e due le mani, lo port? sano e salvo sulla rena del lido.

Il povero cane non si reggeva pi? in piedi. Aveva bevuto, senza volerlo, tant’acqua salata, che era gonfiato come un pallone. E il burattino, non volendo fare a fidarsi troppo, stim? cosa prudente di gettarsi novamente in mare; e allontanandosi dalla spiaggia, grid? all’amico salvato:

– Addio, Alidoro; fa’ buon viaggio e tanti saluti a casa.

– Addio, Pinocchio – rispose il cane; – mille grazie di avermi liberato dalla morte. Tu m’hai fatto un gran servizio. Se capita l’occasione, ci riparleremo…

Pinocchio seguit? a nuotare, tenendosi sempre vicino alla terra. Finalmente gli parve di esser giunto in un luogo sicuro; vide sugli scogli una specie di grotta, dalla quale usciva un lunghissimo pennacchio di fumo.

– In quella grotta – disse allora fra s? – ci deve essere del fuoco. Tanto meglio! Ander? a rasciugarmi e a riscaldarmi, e poi?… e poi sar? quel che sar?.

Presa questa risoluzione, si avvicin? alla scogliera; ma quando fu l? per arrampicarsi, sent? qualche cosa sotto l’acqua che saliva, saliva e lo portava per aria. Tent? subito di fuggire, ma ormai era tardi, perch? con sua grandissima meraviglia si trov? rinchiuso dentro una grossa rete in mezzo a un brulichio di pesci.

E nel tempo stesso vide uscire dalla grotta un pescatore cos? brutto, che pareva un mostro marino. Invece di capelli aveva sulla testa un cespuglio foltissimo di erba verde; verde era la pelle del suo corpo, verdi gli occhi, verde la barba lunghissima. Pareva un grosso ramarro.

Quando il pescatore ebbe tirata fuori la rete dal mare, grid? tutto contento:

– Provvidenza benedetta! Anch’oggi potr? fare una bella scorpacciata di pesce!

– Manco male, che[122] io non sono un pesce! – disse Pinocchio dentro di s?.

La rete piena di pesci fu portata dentro la grotta, una grotta buia, in mezzo alla quale friggeva una gran padella d’olio, che mandava un odorino di moccolaia.

– Ora vediamo un po’ che pesci abbiamo presi! – disse il pescatore verde; e tir? fuori una manciata di triglie.

– Buone queste triglie! – disse, guardandole con compiacenza. E dopo le scaravent? in una conca senz’acqua.

Poi ripet? pi? volte la solita operazione; e via via che cavava fuori gli altri pesci, sentiva venirsi l’acquolina in bocca e gongolando diceva:

– Buoni questi naselli!..

– Squisiti questi muggini!..

– Deliziose queste sogliole!..

– Carine queste acciughe col capo!..

Come potete immaginarvelo, i naselli, i muggini, le sogliole e l’acciughe, andarono tutti alla rinfusa[123] nella conca.

L’ultimo che rest? nella rete fu Pinocchio.

Appena il pescatore l’ebbe cavato fuori, sgran? dalla meraviglia i suoi occhioni verdi, gridando quasi impaurito:

– Che razza di pesce ? questo? Dei pesci fatti a questo modo non mi ricordo di averne mangiati mai!

E torn? a guardarlo attentamente, e dopo averlo guardato ben bene per ogni verso, fin? col dire:

– Ho capito: dev’essere un granchio di mare.

Allora Pinocchio disse con accento risentito:

– Ma che granchio e non granchio? Guardi come lei mi tratta! Io per sua regola sono un burattino.

– Un burattino? – replic? il pescatore. – Dico la verit?, il pesce burattino ? per me un pesce nuovo! Meglio cos?! ti manger? pi? volentieri.

– Mangiarmi? ma la vuol capire che io non sono un pesce? O non sente che parlo, e ragiono come lei?

– ? verissimo – soggiunse il pescatore – e siccome vedo che sei un pesce, che hai la fortuna di parlare e di ragionare, come me, cos? voglio usarti anch’io i dovuti riguardi.

– E questi riguardi sarebbero?…

– In segno di amicizia, lascer? a te la scelta del come vuoi esser cucinato. Desideri esser fritto in padella, oppure preferisci di esser cotto nel tegame?

– A dir la verit? – rispose Pinocchio – se io debbo scegliere, preferisco piuttosto di esser lasciato libero.

– Tu scherzi! Ti pare che io voglia perdere l’occasione di assaggiare un pesce cos? raro? Ti frigger? in padella assieme a tutti gli altri pesci, e te ne troverai contento.

L’infelice Pinocchio cominci? a piangere: e piangendo diceva: – Quant’era meglio, che fossi andato a scuola!.. Ho voluto dar retta ai compagni, e ora la pago!

E perch? si divincolava come un’anguilla e faceva sforzi incredibili, per sgusciare dalle grinfie del pescatore verde, questi prese una bella buccia di giunco, e dopo averlo legato per le mani e per i piedi, lo gett? in fondo alla conca cogli altri.

Poi, tirato fuori un vassoio di legno, pieno di farina, si dette a infarinare tutti quei pesci: e man mano che gli aveva infarinati, li buttava a friggere dentro la padella.

I primi a ballare nell’olio bollente furono i poveri naselli: poi ai muggini, poi alle sogliole e alle acciughe, e poi venne la volta di Pinocchio. Il quale, a vedersi cos? vicino alla morte fu preso da tanto tremito e da tanto spavento, che non aveva pi? n? voce n? fiato per raccomandarsi.

Il povero figliolo si raccomandava cogli occhi! Ma il pescatore verde lo avvoltol? cinque o sei volte nella farina, che pareva diventato un burattino di gesso.

Poi lo prese per il capo, e…

29. Ritorna a casa della Fata, la quale gli promette che il giorno dopo non sar? pi? un burattino, ma diventer? un ragazzo. Gran colazione di caff?-e-latte per festeggiare questo grande avvenimento

Mentre il pescatore era proprio sul punto di buttar Pinocchio nella padella, entr? nella grotta un grosso cane condotto l? dall’odore acutissimo e ghiotto della frittura.

– Passa via![124] – gli grid? il pescatore.

Ma il povero cane aveva una fame per quattro, e mugolando e dimenando la coda, pareva che dicesse:

– Dammi un boccone di frittura e ti lascio in pace.

– Passa via, ti dico! – gli ripet? il pescatore; e allung? la gamba per tirargli una pedata.

Allora il cane si rivolt? ringhioso al pescatore, mostrandogli le sue terribili zanne.

In quel mentre si ud? nella grotta una vocina fioca fioca che disse:

– Salvami, Alidoro! Se non mi salvi, son fritto!..

Il cane riconobbe subito la voce di Pinocchio, e si accorse con sua grandissima meraviglia che la vocina era uscita da quel fagotto infarinato che il pescatore teneva in mano.

Allora che cosa fa? Spicca un gran lancio da terra, abbocca quel fagotto infarinato e tenendolo leggermente coi denti, esce correndo dalla grotta.

Il pescatore, arrabbiatissimo di vedersi strappar di mano un pesce, che egli avrebbe mangiato tanto volentieri, si prov? a rincorrere il cane; ma fatti pochi passi, gli venne un nodo di tosse e dov? tornarsene indietro.

Intanto Alidoro si ferm? e pos? delicatamente in terra l’amico Pinocchio.

– Quanto ti debbo ringraziare! – disse il burattino.

– Non c’? bisogno – replic? il cane – tu salvasti me, e quel che ? fatto ? reso. Si sa: in questo mondo bisogna tutti aiutarsi l’uno coll’altro.

– Ma come mai sei capitato in quella grotta?

– Ero sempre qui disteso sulla spiaggia pi? morto che vivo, quando il vento mi ha portato da lontano un odorino di frittura. Quell’odorino mi ha stuzzicato l’appetito, e io gli sono andato dietro.

– Non me lo dire! – url? Pinocchio che tremava ancora dalla paura – Non me lo dire! Se tu arrivavi un minuto pi? tardi, a quest’ora io ero fritto, mangiato e digerito. Brrr!

Alidoro, ridendo, stese la zampa destra verso il burattino, il quale gliela strinse forte forte in segno di grande amicizia: e dopo si lasciarono.

Il cane riprese la strada di casa: e Pinocchio, rimasto solo, and? a una capanna l? poco distante, e domand? a un vecchietto che stava sulla porta a scaldarsi al sole:

– Dite, galantuomo, sapete nulla di un povero ragazzo ferito nel capo e che si chiamava Eugenio?

– Il ragazzo ? stato portato da alcuni pescatori in questa capanna, e ora…

– Ora sar? morto!.. – interruppe Pinocchio, con gran dolore.

– No: ora ? vivo, ed ? gi? ritornato a casa sua.

– Davvero?… – grid? il burattino, saltando dall’allegrezza – Dunque la ferita non era grave?…

– Ma poteva riuscire gravissima e anche mortale, – rispose il vecchietto – perch? gli tirarono nel capo un grosso libro rilegato in cartone.

– E chi glielo tir??

– Un suo compagno di scuola: un certo Pinocchio…

– E chi ? questo Pinocchio? – domand? il burattino facendo lo gnorri[125].

– Dicono che sia un ragazzaccio, un vagabondo…

– Calunnie! Tutte calunnie!

– Lo conosci tu questo Pinocchio?

– Di vista! – rispose il burattino.

– E tu che concetto ne hai? – gli chiese il vecchietto.

– A me mi pare un gran buon figliuolo, pieno di voglia di studiare, ubbidiente…

Mentre il burattino diceva queste bugie, si tocc? il naso e si accorse che il naso gli era allungato pi? d’un palmo. Allora tutto impaurito cominci? a gridare:

– Non date retta, galantuomo, a tutto il bene che ve ne ho detto; perch? conosco benissimo Pinocchio e posso assicurarvi anch’io che ? davvero un ragazzaccio, un disubbidiente!

Appena ebbe pronunciate queste parole, il suo naso raccorci? e torn? della grandezza naturale.

– E perch? sei tutto bianco a codesto modo? – gli domand? il vecchietto.

– Vi dir?… mi sono strofinato a un muro, che era imbiancato di fresco – rispose il burattino, vergognandosi a raccontare che lo avevano infarinato come un pesce.

– O della tua giacchetta, de’ tuoi calzoncini e del tuo berretto, che cosa ne hai fatto?

– Ho incontrato i ladri e mi hanno spogliato. Dite, buon vecchio, non avreste per caso da darmi un po’ di vestito?

– Ragazzo mio; in quanto a vestiti, io non ho che un piccolo sacchetto. Se lo vuoi, piglialo: eccolo l?.

E Pinocchio prese subito il sacchetto che era vuoto, e dopo averci fatto colle forbici una piccola buca nel fondo e due buche dalle parti, se lo infil? a uso camicia. E vestito a quel modo, si avvi? verso il paese.

Ma, lungo la strada, non si sentiva punto tranquillo; e andava dicendo:

– Come far? a presentarmi alla mia buona Fatina? Che dir? quando mi vedr??… Vorr? perdonarmi questa seconda birichinata?… oh! non me la perdona di certo…

Arriv? al paese che era gi? notte buia; e perch? faceva tempaccio, and? diritto diritto alla casa della Fata coll’animo risoluto di bussare alla porta e di farsi aprire.

Ma, quando fu l?, sent? mancarsi il coraggio, e invece di bussare, si allontan?, correndo, una ventina di passi. Poi torn? una seconda volta alla porta, e non concluse nulla: poi si avvicin? una terza volta, e nulla: la quarta volta prese, tremando, il battente di ferro in mano e buss?.

Aspetta, aspetta, finalmente dopo mezz’ora si apr? una finestra dell’ultimo piano e Pinocchio vide affacciarsi una grossa lumaca, che aveva un lumicino acceso sul capo, la quale disse:

– Chi ? a quest’ora?

– La Fata ? in casa? – domand? il burattino.

– La Fata dorme e non vuol essere svegliata: ma tu chi sei?

– Sono io!

– Chi io?

– Pinocchio.

– Chi Pinocchio?

– Il burattino, quello che sta in casa colla Fata.

– Ah! ho capito; – disse la Lumaca – aspettami cost?, ch? ora scendo gi? e ti apro subito.

– Spicciatevi, per carit?, perch? io muoio dal freddo.

– Ragazzo mio, le lumache non hanno mai fretta.

Intanto pass? un’ora, ne passarono due, e la porta non si apriva: per cui Pinocchio, che tremava dal freddo, dalla paura, buss? una seconda volta, e buss? pi? forte.

A quel secondo colpo si apr? una finestra del piano di sotto e si affacci? la solita lumaca.

– Lumachina bella – grid? Pinocchio dalla strada – sono due ore che aspetto! E due ore, a questa serata, diventano pi? lunghe di due anni. Spicciatevi, per carit?.

– Ragazzo mio, – gli rispose dalla finestra tutta pace e tutta flemma – ragazzo mio, le lumache non hanno mai fretta.

E la finestra si richiuse.

Di l? a poco sono la mezzanotte: poi le due dopo mezzanotte, e la porta era sempre chiusa.

Allora Pinocchio, perduta la pazienza, afferr? con rabbia il battente della porta per bussare un colpo da far rintronare tutto il casamento: ma il battente che era di ferro, divent? a un tratto un’anguilla viva, che spar? in un rigagnolo d’acqua che scorreva in mezzo alla strada.

– Ah! s?? – grid? Pinocchio sempre pi? accecato dalla collera. – Se il battente ? sparito, io seguiter? a bussare a furia di[126] calci.

E tiratosi un poco indietro, lasci? andare una solennissima pedata nell’uscio della casa. Il colpo fu cos? forte, che il piede penetr? nel legno fino a mezzo: e quando il burattino si prov? a ricavarlo fuori, fu tutta fatica inutile: perch? il piede c’era rimasto conficcato dentro, come un chiodo ribadito.

Figuratevi il povero Pinocchio! Dov? passare tutto il resto della notte con un piede in terra e con quell’altro per aria.

La mattina, sul far del giorno, finalmente la porta si apr?. Quella brava Lumaca, a scendere dal quarto piano fino all’uscio di strada, ci aveva messo solamente nove ore. Bisogna proprio dire che avesse fatto una sudata.

– Che cosa fate con codesto piede conficcato nell’uscio? – domand? ridendo al burattino.

– ? stata una disgrazia. Vedete un po’, Lumachina bella, se vi riesce di liberarmi da questo supplizio.

– Ragazzo mio, cost? ci vuole un legnaiolo.

– Pregate la Fata da parte mia!..

– La Fata dorme e non vuol essere svegliata.

– Ma che cosa volete che io faccia inchiodato tutto il giorno a questa porta?

– Divertiti a contare le formicole che passano per la strada.

– Portatemi almeno qualche cosa da mangiare.

– Subito! – disse la Lumaca.

Difatti dopo tre ore e mezzo, Pinocchio la vide tornare con un vassoio d’argento in capo. Nel vassoio c’era un pane, un pollastro arrosto e quattro albicocche mature.

– Ecco la colazione che vi manda la Fata – disse la Lumaca.

Il burattino sent? consolarsi tutto. Ma quale fu il suo disinganno, quando incominciando a mangiare, si dov? accorgere che il pane era di gesso, il pollastro di cartone e le quattro albicocche di alabastro, colorite, come se fossero vere.

Voleva piangere, voleva buttar via il vassoio e quel che c’era dentro; ma invece, o fosse il gran dolore o la gran languidezza di stomaco, fatto sta che cadde svenuto.

Quando si riebbe, si trov? disteso sopra un sof?, e la Fata era accanto a lui.

– Anche per questa volta ti perdono – gli disse la Fata – ma guai a te, se me ne fai un’altra delle tue!..

Pinocchio promise e giur? che avrebbe studiato, e che si sarebbe condotto sempre bene. E mantenne la parola per tutto il resto dell’anno. Difatti agli esami delle vacanze, ebbe l’onore di essere il pi? bravo della scuola; e i suoi portamenti, in generale, furono giudicati cos? lodevoli e soddisfacenti, che la Fata, tutta contenta, gli disse:

– Domani finalmente il tuo desiderio sar? appagato!

– Cio??

– Domani finirai di essere un burattino di legno, e diventerai un ragazzo perbene.

Tutti i suoi amici e compagni di scuola dovevano essere invitati per il giorno dopo a una gran colazione in casa della Fata, per festeggiare insieme il grande avvenimento: e la Fata aveva fatto preparare duecento tazze di caff?-e-latte e quattrocento panini imburrati di dentro e di fuori. Quella giornata prometteva di riuscire molto bella e molto allegra: ma…

Disgraziatamente, nella vita dei burattini, c’? sempre un ma, che sciupa ogni cosa.

30. Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte di nascosto col suo amico Lucignolo per il “Paese dei balocchi”

Com’? naturale, Pinocchio chiese subito alla Fata il permesso di andare in giro per la citt? a fare gl’inviti: e la Fata gli disse:

– Va’ pure a invitare i tuoi compagni per la colazione di domani: ma ricordati di tornare a casa prima che faccia notte. Hai capito?

– Fra un’ora prometto di esser ritornato – replic? il burattino.

– Bada, Pinocchio! I ragazzi fanno presto a promettere, ma il pi? delle volte, fanno tardi a mantenere.

– Ma io non sono come gli altri: io, quando dico una cosa, la mantengo.

– Vedremo. Caso poi tu disubbidissi, tanto peggio per te.

– Perch??

– Perch? i ragazzi che non danno retta ai consigli di chi ne sa pi? di loro, vanno sempre incontro a qualche disgrazia.

– E io l’ho provato! – disse Pinocchio. – Ma ora non ci ricasco pi?!

– Vedremo se dici il vero.

Senza aggiungere altre parole, il burattino salut? la sua buona Fata, e cantando e usc? fuori dalla porta di casa.

In poco pi? d’un’ora, tutti i suoi amici furono invitati. Alcuni accettarono subito e di gran cuore: altri si fecero un po’ pregare: ma quando seppero che i panini da inzuppare nel caff?-e-latte sarebbero stati imburrati anche dalla parte di fuori, finirono tutti col dire: – “Verremo anche noi, per farti piacere”.

Ora bisogna sapere che Pinocchio, fra i suoi amici e compagni di scuola, ne aveva uno prediletto e carissimo, il quale si chiamava di nome Romeo: ma tutti lo chiamavano col soprannome di Lucignolo, per via del suo personale asciutto, secco e allampanato.

Lucignolo era il ragazzo pi? svogliato e pi? birichino di tutta la scuola: ma Pinocchio gli voleva bene. Difatti and? subito a cercarlo a casa, per invitarlo alla colazione, e non lo trov?.

Dove poterlo ripescare? Cerca di qua, cerca di l?, finalmente lo vide nascosto sotto il portico di una casa di contadini.

– Che cosa fai cost?? – gli domand? Pinocchio.

– Aspetto di partire…

– Dove vai?

– Lontano, lontano, lontano!

– E io che son venuto a cercarti a casa tre volte!..

– Che cosa volevi da me?

– Non sai il grande avvenimento? Non sai la fortuna che mi ? toccata?

– Quale?

– Domani finisco di essere un burattino e divento un ragazzo come te, e come tutti gli altri. Domani ti aspetto a colazione a casa mia.

– Ma se ti dico che parto questa sera.

– A che ora?

– Fra poco.

– E dove vai?

– Vado ad abitare in un paese… che ? il pi? bel paese di questo mondo: una vera cuccagna!..

– E come si chiama?

– Si chiama il “Paese dei balocchi”. Perch? non vieni anche tu?

– Io? no davvero!

– Credilo a me che, se non vieni, te ne pentirai. Dove vuoi trovare un paese pi? sano per ragazzi? L? non vi sono scuole: l? non vi sono maestri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il gioved? non si fa scuola: e ogni settimana ? composta di sei gioved? e di una domenica. Figurati che le vacanze dell’autunno cominciano col primo di gennaio e finiscono coll’ultimo di dicembre. Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili!..

– Ma come si passano le giornate nel “Paese dei balocchi”?

– Si passano divertendosi dalla mattina alla sera. La sera poi si va a letto, e la mattina dopo si ricomincia daccapo.

– Uhm!.. – fece Pinocchio.

– Dunque, vuoi partire con me? S? o no?

– No, no e poi no. Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo per bene, e voglio mantenere la promessa. Dunque addio, e buon viaggio.

– Dove corri con tanta furia?

– A casa. La mia buona Fata vuole che ritorni prima di notte.

– Aspetta altri due minuti.

– E se poi la Fata mi grida?

– Lasciala gridare. Quando avr? gridato ben bene, si cheter? – disse quella birba di Lucignolo.

– E come fai? Parti solo o in compagnia?

– Solo? Saremo pi? di cento ragazzi.

– E il viaggio lo fate a piedi?

– Fra poco passer? di qui il carro che mi deve prendere e condurre fin dentro ai confini di quel fortunatissimo paese.

– Che cosa pagherei che il carro passasse ora!..

– Perch??

– Per vedervi partire tutti insieme.

– Rimani qui e ci vedrai.

– No, no: voglio ritornare a casa.

– Aspetta altri due minuti.

– Ho indugiato anche troppo. La Fata star? in pensiero per me.

– Povera Fata! Che ha paura forse che ti mangino i pipistrelli?

– Ma dunque – soggiunse Pinocchio – tu sei veramente sicuro che in quel paese non ci sono scuole?…

– Neanche l’ombra.

– E nemmeno i maestri?

– Nemmen uno.

– Che bel paese! – disse Pinocchio. – Io non ci sono stato mai, ma me lo figuro!..

– Perch? non vieni anche tu?

– ? inutile che tu mi tenti! Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo di giudizio, e non voglio mancare alla parola.

– Dunque addio, e salutami tanto le scuole!

– Addio, Lucignolo: fa’ buon viaggio, divertiti e rammentati qualche volta degli amici. – Ci? detto, il burattino fece due passi in atto di andarsene: ma poi, fermandosi e voltandosi all’amico, gli domand?:

– Ma lo sai di certo che le vacanze abbiano principio col primo di gennaio e finiscano coll’ultimo di dicembre?

– Di certissimo!

– Che bel paese! – ripet? Pinocchio. Poi soggiunse in fretta e furia:

– Dunque, addio davvero: e buon viaggio.

– Addio.

– Fra quanto partirete?

– Fra poco!

– Sarei quasi quasi capace di aspettare.

Intanto si era gi? fatta notte e notte buia: quando a un tratto videro muoversi in lontananza un lumicino… e sentirono un suono di bubboli.

– Eccolo! – grid? Lucignolo, rizzandosi in piedi.

– Chi ?? – domand? sottovoce Pinocchio.

– ? il carro che viene a prendermi. Dunque, vuoi venire, s? o no?

– Ma ? proprio vero – domand? il burattino – che in quel paese i ragazzi non hanno mai l’obbligo di studiare?

– Mai, mai, mai!

– Che bel paese!.. che bel paese!..

31. Dopo cinque mesi di cuccagna, Pinocchio con sua gran meraviglia, sente spuntarsi un bel paio d’orecchie asinine, e diventa un ciuchino, con la coda e tutto

Finalmente il carro arriv?.

Lo tiravano dodici pariglie di ciuchini, tutti della medesima grandezza, ma di diverso pelame.

Alcuni erano bigi, altri bianchi, altri brizzolati, e altri rigati da grandi strisce gialle e turchine.

Ma la cosa pi? singolare era questa: che quelle dodici pariglie, invece di esser ferrati, avevano in piedi degli stivaletti da uomo fatti di pelle bianca.

E il conduttore del carro?…

Figuratevi un omino pi? largo che lungo, untuoso come una palla di burro, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole.

Tutti i ragazzi, appena lo vedevano, ne restavano innamorati e facevano a gara nel montare sul suo carro, per esser condotti da lui in quella vera cuccagna.

Difatti il carro era gi? tutto pieno di ragazzetti fra gli otto e i dodici anni. Stavano pigiati, non potevano quasi respirare: ma nessuno diceva ohi! nessuno si lamentava. La consolazione di sapere che fra poche ore sarebbero giunti in un paese, dove non c’erano n? libri, n? scuola, n? maestri, li rendeva cos? contenti, che non sentivano n? i disagi, n? la fame, n? la sete, n? il sonno.

Appena che il carro si fu fermato, l’Omino si volse a Lucignolo, e gli domand? sorridendo:

– Dimmi, mio bel ragazzo, vuoi venire anche tu in quel fortunato paese?

– Sicuro che ci voglio venire.

– Ma ti avverto, carino mio, che nel carro non c’? pi? posto.

– Pazienza! – replic? Lucignolo – se non c’? posto dentro, mi adatter? a star seduto sulle stanghe del carro.

E spiccato un salto, mont? a cavalcioni[127] sulle stanghe.

– E tu, amor mio – disse l’Omino volgendosi a Pinocchio – che intendi fare? Vieni con noi?

– Io rimango – rispose Pinocchio. – Io voglio tornarmene a casa mia: voglio studiare e voglio farmi onore alla scuola.

– Pinocchio! – disse allora Lucignolo. – Da’ retta a me: vieni con noi, e staremo allegri.

– No!

– Vieni con noi e staremo allegri – gridarono altre quattro voci di dentro al carro.

– Vieni con noi e staremo allegri – urlarono tutte insieme un centinaio di voci.

– E se vengo con voi, che cosa dir? la mia buona Fata? – disse il burattino che cominciava a intenerirsi.

– Pensa che andiamo in un paese dove saremo padroni di fare il chiasso dalla mattina alla sera!

Pinocchio non rispose, ma fece un sospiro: poi fece un altro sospiro: poi un terzo sospiro: finalmente disse:

– Fatemi un po’ di posto: voglio venire anch’io!..

– I posti son tutti pieni – replic? l’Omino – ma per mostrarti quanto sei gradito, posso cederti il mio posto a cassetta…

– E voi?…

– E io far? la strada a piedi.

– No davvero, che non lo permetto. Preferisco piuttosto di salire in groppa a qualcuno di questi ciuchini! – grid? Pinocchio.

Detto fatto, si avvicin? al ciuchino della prima pariglia, e fece l’atto di volerlo cavalcare: ma la bestiola, voltandosi a secco[128], gli dette una gran musata nello stomaco e lo gett? a gambe all’aria.

Figuratevi la risata impertinente e sgangherata di tutti quei ragazzi presenti alla scena.

Ma l’Omino non rise. Si accost? pieno di amore al ciuchino ribelle, e, facendo finta di dargli un bacio, gli stacc? con un morso la met? dell’orecchio destro.

Intanto Pinocchio schizz? con un salto sulla groppa di quel povero animale. E il salto fu cos? bello, che i ragazzi, smesso di ridere, cominciarono a urlare: viva Pinocchio!

Quand’ecco che all’improvviso il ciuchino alz? tutte e due le gambe di dietro, scaravent? il povero burattino in mezzo alla strada, sopra un monte di ghiaia.

Allora grandi risate daccapo: ma l’Omino, invece di ridere, si sent? preso da tanto amore per quell’irrequieto asinello che, con un bacio, gli port? via di netto[129] la met? di quell’altro orecchio. Poi disse al burattino:

– Rimonta pure a cavallo, e non aver paura. Quel ciuchino aveva qualche grillo per il capo: ma io gli ho detto due paroline negli orecchi.

Pinocchio mont?: e il carro cominci? a muoversi: ma nel tempo che i ciuchini galoppavano e che il carro correva sui ciottoli della via maestra, gli parve al burattino di sentire una voce sommessa, che gli disse:

– Povero gonzo! Hai voluto fare a modo tuo, ma te ne pentirai!

Pinocchio guard? di qua e di l?, per conoscere da qual parte venissero queste parole; ma non vide nessuno.

Fatto un altro mezzo chilometro, Pinocchio sent? la solita vocina fioca che gli disse:

– Tienilo a mente[130], grullo! I ragazzi che smettono di studiare e voltano le spalle ai libri, alle scuole, per darsi interamente ai divertimenti, non possono far altro che una fine disgraziata!.. Io lo so!.. Verr? un giorno che piangerai anche tu, come oggi piango io… ma allora sar? tardi!..

A queste parole bisbigliate, il burattino, spaventato pi? che mai, salt? gi? dalla groppa della cavalcatura, e and? a prendere il suo ciuchino per il muso.

E immaginatevi come rest?, quando s’accorse che il suo ciuchino piangeva proprio come un ragazzo!

– Ehi, signor Omino, – grid? allora Pinocchio al padrone del carro – sapete che cosa c’? di nuovo? Questo ciuchino piange.

– Lascialo piangere: rider? quando sar? sposo.

– Ma che forse gli avete insegnato anche a parlare?

– No: ha imparato da s? a borbottare qualche parola.

– Povera bestia!..

– Non perdiamo il nostro tempo a veder piangere un ciuco. Rimonta a cavallo, e andiamo.

Pinocchio obbed? senza rifiatare. Il carro riprese la sua corsa: e la mattina, sul far dell’alba, arrivarono felicemente nel “Paese dei balocchi”.

Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. La sua popolazione era tutta composta di ragazzi. I pi? vecchi avevano 14 anni: i pi? giovani ne avevano 8 appena. Nelle strade, un’allegria, un chiasso! Branchi di monelli dappertutto: chi giocava alle noci, chi alla palla, chi andava in velocipede: altri, vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle mani in terra e colle gambe in aria: chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi fischiava. Su tutte le piazze si vedevano teatrini di tela, affollati di ragazzi dalla mattina alla sera, e su tutti i muri delle case si leggevano scritte col carbone delle bellissime cose come queste: viva i balocci! (invece di balocchi): non vogliamo pi? schole (invece di non vogliamo pi? scuole): abbasso Larin Metica (invece di l’aritmetica).

Pinocchio, Lucignolo e tutti gli altri ragazzi, che avevano fatto il viaggio coll’Omino, appena ebbero messo il piede dentro la citt?, si ficcarono subito in mezzo alla gran baraonda, e in pochi minuti diventarono gli amici di tutti. Chi pi? felice, chi pi? contento di loro?

– Oh! che bella vita! – diceva Pinocchio tutte le volte che per caso s’imbatteva in Lucignolo.

– Vedi, dunque, se avevo ragione? E dire che tu non volevi partire! Se oggi ti sei liberato dalla noia dei libri e delle scuole, lo devi a me, ai miei consigli, alle mie premure?

– ? vero, Lucignolo! Se oggi io sono un ragazzo veramente contento, ? tutto merito tuo.

Intanto era gi? da cinque mesi che durava questa bella cuccagna di baloccarsi e di divertirsi le giornate intere, senza mai vedere in faccia n? un libro, n? una scuola; quando una mattina Pinocchio, svegliandosi, ebbe una gran brutta sorpresa.

Óïðàæíåíèÿ

1. Âûáåðèòå ïðàâèëüíûé âàðèàíò:

1. Pinocchio ? andato a cavallo del Nibbio.

2. Pinocchio ? andato a cavallo del Colombo.

3. Pinocchio ? andato a cavallo della Rondine.

4. Pinocchio ? andato a cavallo della Farfalla.


2. Ïîäáåðèòå ñèíîíèìû:

dorso ____________

garbatezza ____________

costa ____________

vergogna ____________

babbo ____________

brocca ____________

elemosina ____________

ciuco ____________


3. Âûáåðèòå íóæíûé ãëàãîë:

Non ____ il nostro tempo a veder piangere un ciuco.

1. troviamo

2. cerchiamo.

3. perdiamo

4. diamo


4. Âûáåðèòå íóæíûé ïðåäëîã:

per – a – di – in – da

1. Difatti and? subito __ cercarlo __ casa, __ invitarlo __ colazione, e non lo trov?.

2. Tutti i suoi amici e compagni __ scuola dovevano essere invitati __ il giorno dopo __ una gran colazione __ casa __ Fata.

3. Intanto era gi? __ cinque mesi che durava questa bella cuccagna __ baloccarsi e __ divertirsi le giornate intere.

4. __ queste parole bisbigliate, il burattino, spaventato pi? che mai, salt? gi? __ groppa __ cavalcatura, e and? __ prendere il suo ciuchino __ il muso.


5. Îòâåòüòå íà âîïðîñû:

1. Perch? Pinocchio non ha dato una mano al carbonaio?

2. Perch? il burattino ha prestato aiuto a Alidoro?

3. Perch? Pinocchio ha diventato ciuchino?

4. Dove sono andati Pinocchio e Lucignolo?

5. Raccontare il testo.

Îòâåòû:

1. Pinocchio ? andato a cavallo del Colombo.

3. perdiamo

4. 1. a, a, per, alla. 2. di, per, a, in, della. 3. da, di, di. 4. a, dalla, della, a, per.

32. A Pinocchio gli vengono gli orecchi di ciuco, e poi diventa un ciuchino vero e comincia a ragliare

E questa sorpresa quale fu?

Ve lo dir? io, miei cari e piccoli lettori: la sorpresa fu che a Pinocchio, svegliandosi, gli venne fatto di grattarsi il capo; e nel grattarsi il capo si accorse…

Si accorse con suo stupore, che gli orecchi gli erano cresciuti pi? d’un palmo.

Voi sapete che il burattino aveva gli orecchi piccini. Immaginatevi dunque come rest?, quando dov? toccar con mano che i suoi orecchi, durante la notte, erano allungati.

And? subito in cerca di uno specchio, per potersi vedere: ma non trovando uno specchio, emp? d’acqua la catinella del lavamano e vide quel che non avrebbe mai voluto vedere: vide, cio?, la sua immagine abbellita di un magnifico paio di orecchi asinini.

Cominci? a piangere, a battere la testa nel muro: ma quanto pi? si disperava, e pi? i suoi orecchi crescevano, crescevano e diventavano pelosi verso la cima.

Al rumore di quelle grida, entr? nella stanza una bella Marmotta, che abitava al piano di sopra: la quale gli domand?:

– Che cos’hai, mio caro casigliano?

– Sono malato, Marmotta mia, molto malato… e malato d’una malattia che mi fa paura! Te ne intendi tu del polso?

– Un pochino.

– Senti dunque se per caso avessi la febbre.

La Marmotta alz? la zampa destra davanti: e dopo aver tastato il polso a Pinocchio, gli disse sospirando:

– Amico mio, mi dispiace doverti dare una cattiva notizia!..

– Cio??

– Tu hai una gran brutta febbre!

– E che febbre sarebbe?

– ? la febbre del somaro.

– Non la capisco questa febbre! – rispose il burattino.

– Allora te la spiegher? io – soggiunse la Marmotta. – Sappi dunque che fra due o tre ore tu non sarai pi? n? un burattino, n? un ragazzo…

– E che cosa sar??

– Fra due o tre ore, tu diventerai un ciuchino, come quelli che tirano il carretto e che portano i cavoli e l’insalata al mercato.

– Oh! povero me! – grid? Pinocchio pigliandosi con le mani tutt’e due gli orecchi, e tirandoli e strapazzandoli rabbiosamente.

– Caro mio, – replic? la Marmotta per consolarlo – che cosa ci vuoi tu fare? Oramai ? destino. Oramai ? scritto nei decreti della sapienza, che tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giochi e in divertimenti, debbano finire prima o poi col trasformarsi in tanti piccoli somari.

– Ma davvero ? proprio cos?? – domand? il burattino.

– Pur troppo ? cos?! E ora i pianti sono inutili. Bisognava pensarci prima!

– Ma la colpa non ? mia: la colpa ? tutta di Lucignolo!..

– E chi ? questo Lucignolo?

– Un mio compagno di scuola. Io volevo tornare a casa: io volevo essere ubbidiente: io volevo seguitare a studiare e a farmi onore… ma Lucignolo mi disse: – “Perch? vuoi tu annoiarti a studiare? perch? vuoi andare alla scuola?… Vieni con me, nel Paese dei balocchi: l? ci divertiremo dalla mattina alla sera e staremo sempre allegri”.

– E perch? seguisti il consiglio di quel falso amico? di quel cattivo compagno?

– Perch??… perch? io sono un burattino senza giudizio… e senza cuore. Oh! Se avessi avuto un zinzino di cuore, non avrei mai abbandonata quella buona Fata, che mi voleva bene come una mamma e che aveva fatto tanto per me!.. e a quest’ora non sarei pi? un burattino… ma sarei invece un ragazzino ammodo, come ce n’? tanti! Oh!.. ma se incontro Lucignolo, guai a lui!

E fece l’atto di volere uscire. Ma quando fu sulla porta, si ricord? che aveva gli orecchi d’asino. Prese un gran berretto di cotone, e, ficcatoselo in testa.

Poi usc?: e si dette a cercare Lucignolo. Lo cerc? nelle strade, nelle piazze, in ogni luogo: ma non lo trov?. Ne chiese notizia a quanti incontr? per la via, ma nessuno l’aveva veduto.

Allora and? a cercarlo a casa: e arrivato alla porta, buss?.

– Chi ?? – domand? Lucignolo di dentro.

– Sono io! – rispose il burattino.

– Aspetta un poco, e ti aprir?.

Dopo mezz’ora la porta si apr?: e figuratevi come rest? Pinocchio quando, entrando nella stanza, vide il suo amico Lucignolo con un gran berretto di cotone in testa, che gli scendeva fin sotto il naso.

Alla vista di quel berretto, Pinocchio sent? quasi consolarsi e pens? subito dentro di s?:

– Che l’amico sia malato della mia medesima malattia? Che abbia anche lui la febbre del ciuchino?…

E facendo finta di non essersi accorto di nulla, gli domand? sorridendo:

– Come stai, mio caro Lucignolo?

– Benissimo: come un topo in una forma di cacio parmigiano.

– Lo dici proprio sul serio?

– E perch? dovrei dirti una bugia?

– Scusami, amico: e allora perch? tieni in capo codesto berretto di cotone che ti copre tutti gli orecchi?

– Me l’ha ordinato il medico, perch? mi son fatto male a un ginocchio. E tu, caro Pinocchio, perch? porti codesto berretto di cotone?

– Me l’ha ordinato il medico, perch? mi sono sbucciato un piede.

– Oh! povero Pinocchio!..

– Oh! povero Lucignolo!..

A queste parole tenne dietro un lunghissimo silenzio, durante il quale i due amici non fecero altro che guardarsi fra loro in atto di canzonatura.

Finalmente il burattino, con una vocina melliflua, disse al suo compagno:

– Mio caro Lucignolo: hai mai sofferto di malattia agli orecchi?

– Mai!.. E tu?

– Mai! Per altro da questa mattina in poi ho un orecchio che mi fa spasimare.

– Ho lo stesso male anch’io.

– Anche tu?… E qual ? l’orecchio che ti duole?

– Tutti e due. E tu?

– Tutti e due. Che sia la medesima malattia?

– Ho paura di s?.

– Vuoi farmi un piacere, Lucignolo?

– Volentieri! Con tutto il cuore.

– Mi fai vedere i tuoi orecchi?

– Perch? no? Ma prima voglio vedere i tuoi, caro Pinocchio.

– No: il primo devi essere tu.

– No, carino! Prima tu, e dopo io!

– Ebbene, – disse allora il burattino – facciamo un patto da buoni amici.

– Sentiamo il patto.

– Leviamoci tutti e due il berretto nello stesso tempo: accetti?

– Accetto.

– Dunque attenti!

E Pinocchio cominci? a contare a voce alta:

– Uno! Due! Tre!

Alla parola tre! i due ragazzi presero i loro berretti di capo e li gettarono in aria.

E allora avvenne una scena, che parrebbe incredibile, se non fosse vera. Avvenne, cio?, che Pinocchio e Lucignolo, quando si videro colpiti tutti e due dalla medesima disgrazia cominciarono ad ammiccarsi i loro orecchi cresciuti, e dopo mille sguaiataggini finirono col dare in una bella risata.

E risero, risero, risero, poi Lucignolo tutt’a un tratto si chet?, e barcollando e cambiando di colore, disse all’amico:

– Aiuto, aiuto, Pinocchio!

– Che cos’hai?

– Ohim?! non mi riesce pi? di star ritto sulle gambe.

– Non mi riesce pi? neanche a me – grid? Pinocchio, piangendo.

E mentre dicevano cos?, si piegarono tutti e due carponi a terra e, camminando con le mani e coi piedi, cominciarono a girare e a correre per la stanza. E intanto che correvano, i loro bracci diventarono zampe, i loro visi si allungarono e diventarono musi, e le loro schiene si coprirono di un pelame.

Ma il momento pi? brutto e pi? umiliante fu quello quando sentirono spuntarsi di dietro la coda. Vinti allora dalla vergogna e dal dolore, si provarono a piangere e a lamentarsi del loro destino.



Non l’avessero mai fatto! Invece di lamenti, mandavano fuori dei ragli asinini, facevano tutti e due in coro: j-a, j-a, j-a.

In quel frattempo fu bussato alla porta, e una voce di fuori disse:

– Aprite! Sono l’Omino, sono il conduttore del carro che vi port? in questo paese. Aprite subito, o guai a voi!

33. Diventato un ciuchino vero, ? portato a vendere, e lo compra il Direttore di una compagnia di pagliacci, per insegnargli a ballare e a saltare i cerchi: ma una sera azzoppisce e allora lo ricompra un altro, per far con la sua pelle un tamburo

Vedendo che la porta non si apriva, l’Omino la spalanc? con un violentissimo calcio: ed entrato nella stanza, disse col suo solito risolino a Pinocchio e a Lucignolo:

– Bravi ragazzi! Avete ragliato bene, e io vi ho subito riconosciuti alla voce. E per questo eccomi qui.

A tali parole, i due ciuchini rimasero mogi mogi[131], colla testa gi?, con gli orecchi bassi e con la coda fra le gambe.

Da principio l’Omino li lisci?, li accarezz?, li palpeggi?: poi, tirata fuori la striglia, cominci? a strigliarli per bene. E quando a furia di strigliarli, li ebbe fatti lustri come due specchi, allora messe loro la cavezza e li condusse sulla piazza del mercato, con la speranza di venderli e di beccarsi un discreto guadagno.

E i compratori, difatti, non si fecero aspettare.

Lucignolo fu comprato da un contadino, e Pinocchio fu venduto al Direttore di una compagnia di pagliacci e di saltatori di corda, il quale lo compr? per ammaestrarlo e per farlo poi saltare e ballare insieme con le altre bestie della compagnia.

E ora avete capito qual era il bel mestiere che faceva l’Omino? Questo brutto mostriciattolo andava con un carro a girare per il mondo: strada facendo raccoglieva con promesse e con moine tutti i ragazzi, che avevano a noia i libri e le scuole: e dopo averli caricati sul suo carro, li conduceva nel “Paese dei balocchi” perch? passassero tutto il loro tempo in giochi, in divertimenti. Quando poi quei poveri ragazzi diventavano tanti ciuchini, allora tutto allegro e contento s’impadroniva di loro e li portava a vendere sulle fiere e su i mercati. E cos? in pochi anni era diventato milionario.

Quel che accadesse di Lucignolo, non lo so: so, per altro, che Pinocchio and? incontro a una vita durissima.

Quando fu condotto nella stalla, il nuovo padrone gli emp? la greppia di paglia: ma Pinocchio, dopo averne assaggiata, la risput?.

Allora il padrone, brontolando, gli emp? la greppia di fieno: ma neppure il fieno gli piacque.

– Ah! non ti piace neppure il fieno? – grid? il padrone. – Lascia fare, ciuchino bello, che se hai dei capricci, penser? io a levarteli!..

E a titolo di correzione, gli affibbi? subito una frustata nelle gambe.

Pinocchio, dal gran dolore, cominci? a piangere e a ragliare, e ragliando disse:

– J-a, j-a, la paglia non la posso digerire!..

– Allora mangia il fieno! – replic? il padrone, che intendeva benissimo il dialetto asinino.

– J-a, j-a, il fieno mi fa dolere il corpo!..

– Pretenderesti, dunque, che un somaro, lo dovessi mantenere a petti di pollo? – soggiunse il padrone arrabbiandosi sempre pi?, e affibbiandogli una seconda frustata.

A quella seconda frustata Pinocchio si chet? subito e non disse altro.

Intanto la stalla fu chiusa e Pinocchio rimase solo: e perch? erano molte ore che non aveva mangiato, cominci? a sbadigliare dal grande appetito.

Alla fine, non trovando altro nella greppia, si rassegn? a masticare un po’ di fieno: e dopo averlo masticato ben bene, chiuse gli occhi e lo tir? gi?.

– Questo fieno non ? cattivo – poi disse dentro di s? – ma quanto sarebbe stato meglio che avessi continuato a studiare!.. A quest’ora, invece di fieno, potrei mangiare un cantuccio di pan fresco e una bella fetta di salame! Pazienza!..

La mattina dopo, svegliandosi, cerc? subito nella greppia un altro po’ di fieno; ma non lo trov?, perch? l’aveva mangiato tutto nella notte.

Allora prese una boccata di paglia tritata; e in quel mentre che la stava masticando, si dov? persuadere che il sapore della paglia tritata non somigliava punto n? al risotto alla milanese n? ai maccheroni alla napoletana.

– Pazienza! – ripet?. – Che almeno la mia disgrazia possa servire di lezione a tutti i ragazzi che non hanno voglia di studiare. Pazienza!.. pazienza!..

– Pazienza un corno! – url? il padrone, entrando in quel momento nella stalla. – Credi forse, mio bel ciuchino, ch’io ti abbia comprato per darti da bere e da mangiare? Io ti ho comprato perch? tu lavori e perch? tu mi faccia guadagnare molti quattrini. Vieni con me nel Circo e l? ti insegner? a saltare i cerchi, a rompere col capo le botti di foglio e a ballare il valzer e la polca.

Il povero Pinocchio dov? imparare tutte queste bellissime cose; ma, per impararle, gli ci vollero tre mesi di lezioni, e molte frustate da levare il pelo.

Venne finalmente il giorno, in cui il suo padrone pot? annunciare uno spettacolo veramente straordinario. I cartelloni di vario coloredicevano cos?:

GRANDE SPETTACOLO DI GALA

Per questa sera

Sar? presentato per la prima volta Il famoso

CIUCHINO PINOCCHIO

Detto

LA STELLA DELLA DANZA

Il teatro sar? illuminato a giorno

Quella sera, come potete figurarvelo, un’ora prima che cominciasse lo spettacolo, il teatro era pieno stipato[132].

Non si trovava pi? n? una poltrona, n? un palco.

Le gradinate del Circo formicolavano di bambini, di bambine e di ragazzi di tutte le et?, che avevano la febbre addosso per la smania di veder ballare il famoso ciuchino Pinocchio.

Finita la prima parte dello spettacolo, il Direttore vestito in giubba nera, calzoni bianchi e stivaloni di pelle fin sopra ai ginocchi, si present? al pubblico e recit? con molta solennit? il seguente spropositato discorso: “Rispettabile pubblico, cavalieri e dame! L’umile sottoscritto essendo di passaggio per questa illustre metropolitana, ho voluto procrearmi l’onore nonch? il piacere di presentare a questo intelligente e cospicuo uditorio un celebre ciuchino. E col ringraziandoli, aiutateci della vostra animatrice presenza e compatiteci!”

Questo discorso fu accolto da molti applausi; ma gli applausi raddoppiarono alla comparsa del ciuchino Pinocchio in mezzo al Circo. Egli era tutto agghindato a festa. Aveva una briglia nuova di pelle lustra, con fibbie d’ottone; due camelie bianche agli orecchi, e la coda tutta intrecciata con nastri di velluto paonazzo e celeste.

E qui il Direttore fece una profondissima riverenza: quindi volgendosi a Pinocchio, gli disse:

– Animo, Pinocchio! Avanti di dar principio ai vostri esercizi, salutate questo rispettabile pubblico, cavalieri, dame e ragazzi!

Pinocchio, ubbidiente, pieg? subito i due ginocchi davanti, e rimase inginocchiato fino a tanto che il Direttore, schioccando la frusta, non gli grid?:

– Al passo!

Allora il ciuchino si rizz? sulle quattro gambe, e cominci? a girare intorno al Circo, camminando sempre di passo.

Dopo un poco il Direttore grid?:

– Al trotto! – e Pinocchio, ubbidiente al comando, cambi? il passo in trotto.

– Al galoppo! – e Pinocchio stacc? il galoppo.

– Alla carriera! – e Pinocchio si dette a correre di gran carriera. Ma in quella che correva come un barbero, il Direttore, alzando il braccio in aria, scaric? un colpo di pistola.

A quel colpo il ciuchino, fingendosi ferito, cadde disteso nel Circo, come se fosse moribondo davvero.

Rizzatosi da terra in mezzo a uno scoppio di applausi, d’urli, gli venne fatto naturalmente di alzare la testa e di guardare in su… e guardando, vide in un palco una bella signora, che aveva al collo una grossa collana d’oro dalla quale pendeva un medaglione. Nel medaglione c’era dipinto il ritratto d’un burattino.

– Quel ritratto ? il mio!.. quella signora ? la Fata! – disse dentro di s? Pinocchio: e lasciandosi vincere dalla gran contentezza, si prov? a gridare:

– Oh Fatina mia! oh Fatina mia!..

Ma invece di queste parole, gli usc? dalla gola un raglio cos? sonoro e prolungato, che fece ridere tutti gli spettatori.

Allora il Direttore, per insegnargli e per fargli intendere che non ? buona creanza di mettersi a ragliare in faccia al pubblico, gli dette col manico della frusta una bacchettata sul naso.

Il povero ciuchino, tirato fuori un palmo di lingua, dur? a leccarsi il naso almeno cinque minuti, credendo forse cos? di rasciugarsi il dolore che aveva sentito.

Ma quale fu la sua disperazione quando, voltandosi in su una seconda volta, vide che il palco era vuoto e che la Fata era sparita!..

Si sent? come morire: cominci? a piangere. Nessuno per? se ne accorse, e, meno degli altri, il Direttore, il quale, anzi, schioccando la frusta, grid?:

– Da bravo, Pinocchio! Ora farete vedere a questi signori con quanta grazia sapete saltare i cerchi.

Pinocchio si prov? due o tre volte: ma ogni volta che arrivava davanti al cerchio, invece di attraversarlo, ci passava di sotto. Alla fine spicc? un salto e l’attravers?: ma le gambe di dietro gli rimasero disgraziatamente impigliate nel cerchio: motivo per cui ricadde in terra dall’altra parte.

Quando si rizz?, era azzoppito, e a malapena[133] pot? ritornare alla scuderia.

– Fuori Pinocchio! Vogliamo il ciuchino! Fuori il ciuchino! – gridavano i ragazzi dalla platea, impietositi e commossi al tristissimo caso.

Ma il ciuchino per quella sera non si fece pi? rivedere.

La mattina dopo il veterinario, quando l’ebbe visitato, dichiar? che sarebbe rimasto zoppo per tutta la vita.

Allora il Direttore disse al suo garzone di stalla:

– Che vuoi tu che mi faccia d’un somaro zoppo? Sarebbe un mangiapane. Portalo dunque in piazza e rivendilo.

Arrivati in piazza, trovarono subito il compratore, il quale domand? al garzone di stalla:

– Quanto vuoi di codesto ciuchino zoppo?

– Venti lire.

– Io ti do venti soldi. Non credere che io lo compri per servirmene: lo compro unicamente per la sua pelle. Vedo che ha la pelle molto dura, e con la sua pelle voglio fare un tamburo.

Fatto sta che il compratore, appena pagati i venti soldi, condusse il ciuchino sulla riva del mare; e messogli un sasso al collo e legatolo per una zampa con una fune che teneva in mano, gli dette improvvisamente uno spintone e lo gett? nell’acqua.

Pinocchio and? subito a fondo: e il compratore, tenendo sempre stretta in mano la fune, si pose a sedere sopra uno scoglio, aspettando che il ciuchino avesse tutto il tempo di morire affogato, per poi scorticarlo e levargli la pelle.

34. Pinocchio, gettato in mare, ? mangiato dai pesci e ritorna ad essere un burattino come prima: ma mentre nuota per salvarsi, ? ingoiato dal terribile Pescecane

Dopo cinquanta minuti che il ciuchino era sott’acqua, il compratore disse, discorrendo da s? solo:

– A quest’ora il mio povero ciuchino zoppo deve essere affogato. Ritiriamolo dunque su, e facciamo con la sua pelle questo bel tamburo.

E cominci? a tirare la fune, con la quale lo aveva legato per una gamba: e tira, tira, alla fine vide apparire a fior d’acqua… indovinate? Invece di un ciuchino morto, vide apparire a fior d’acqua un burattino vivo.

Vedendo quel burattino di legno, il pover’uomo cred? di sognare e rimase intontito, a bocca aperta e con gli occhi fuori della testa.

Riavutosi un poco dal suo primo stupore, disse piangendo:

– E il ciuchino che ho gettato in mare dov’??…

– Quel ciuchino son io! – rispose il burattino, ridendo.

– Tu?

– Io.

– Ah! mariuolo! Pretenderesti forse di burlarti di me?

– Burlarmi di voi? Tutt’altro, caro padrone: io vi parlo sul serio.

– Ma come mai tu, che poco fa eri un ciuchino, ora stando nell’acqua, sei diventato un burattino di legno?…

– Sar? effetto dell’acqua del mare. Il mare ne fa di questi scherzi.

– Bada burattino, bada!.. Non credere di divertirti alle mie spalle! Guai a te, se mi scappa la pazienza!

– Ebbene, padrone; volete sapere tutta la vera storia? Scioglietemi questa gamba e io ve la racconter?.

Quel compratore, curioso di conoscere la vera storia, gli sciolse subito il nodo della fune, che lo teneva legato: e allora Pinocchio, trovandosi libero come un uccello nell’aria, prese a dirgli cos?:

– Sappiate dunque che io ero un burattino di legno, come sono oggi: ma mi trovavo a tocco e non tocco di diventare un ragazzo, come in questo mondo ce n’? tanti: se non che per la mia poca voglia di studiare e per dar retta ai cattivi compagni, scappai di casa… e un bel giorno, svegliandomi, mi trovai cambiato in un somaro!.. Che vergogna fu quella per me!.. Portato a vendere sul mercato degli asini, fui comprato dal Direttore di una compagnia equestre, il quale si messe in capo di far di me un gran ballerino e un gran saltatore di cerchi: ma una sera, durante lo spettacolo, feci in teatro una brutta cascata e rimasi zoppo da tutt’e due le gambe. Allora il Direttore, non sapendo che cosa farsi d’un asino zoppo, mi mand? a rivendere, e voi mi avete comprato!..

– Pur troppo! E ti ho pagato venti soldi. E ora chi mi rende i miei poveri venti soldi?

– E perch? mi avete comprato? Voi mi avete comprato per fare con la mia pelle un tamburo!..

– Pur troppo! E ora dove trover? un’altra pelle?…

– Non vi date alla disperazione, padrone. Dei ciuchini ce n’? tanti in questo mondo!

– Dimmi, monello; e la tua storia finisce qui?

– No – rispose il burattino – ci sono altre due parole, e poi ? finita. Dopo avermi comprato, mi avete condotto in questo luogo per uccidermi, ma poi, cedendo a un sentimento pietoso d’umanit?, avete preferito di legarmi un sasso al collo e di gettarmi in fondo al mare. Questo sentimento di delicatezza vi onora moltissimo e io ve ne serber? eterna riconoscenza. Per altro, caro padrone, questa volta avete fatto i vostri conti senza la Fata…

– E chi ? questa Fata?

– ? la mia mamma, la quale somiglia a tutte quelle buone mamme, che vogliono un gran bene ai loro ragazzi, e non li perdono mai d’occhio, e li assistono in ogni disgrazia, anche quando questi ragazzi meriterebbero di esser abbandonati e lasciati in balia a s? stessi. Dicevo, dunque, che la buona Fata, appena mi vide in pericolo di affogare, mand? subito intorno a me un branco infinito di pesci, i quali credendomi davvero un ciuchino morto, cominciarono a mangiarmi! E che bocconi che facevano! Non avrei mai creduto che i pesci fossero pi? ghiotti anche dei ragazzi!.. Chi mi mangi? gli orecchi, chi mi mangi? il muso, chi il collo e la criniera, chi la pelle delle zampe, chi la pelliccia della schiena… e, fra gli altri, vi fu un pesciolino cos? garbato, che si degn? perfino di mangiarmi la coda.

– Da oggi in poi – disse il compratore – faccio giuro di non assaggiar pi? carne di pesce. Mi dispiacerebbe troppo di aprire una triglia o un nasello fritto e di trovargli in corpo una coda di ciuco!

– Io la penso come voi – replic? il burattino, ridendo. – Del resto, dovete sapere che quando i pesci ebbero finito di mangiarmi tutta quella buccia asinina, che mi copriva dalla testa ai piedi, arrivarono, com’? naturale, all’osso… o per dir meglio, arrivarono al legno. Ma dopo dati i primi morsi, quei pesci si accorsero subito che il legno non era ciccia per i loro denti, e se ne andarono chi in qua, chi in l?. Ed eccovi raccontato come voi, tirando su la fune, avete trovato un burattino vivo, invece d’un ciuchino morto.

– Io mi rido della tua storia – grid? il compratore imbestialito. – Io so che ho speso venti soldi per comprarti, e rivoglio i miei quattrini. Sai che cosa far?? Ti porter? al mercato, e ti rivender? a peso di legno per accendere il fuoco nel caminetto.

– Rivendetemi pure: io sono contento – disse Pinocchio.

Ma nel dir cos?, fece un bel salto e schizz? in mezzo all’acqua. E nuotando allegramente e allontanandosi dalla spiaggia, gridava al povero compratore:

– Addio, padrone; se avete bisogno di una pelle per fare un tamburo, ricordatevi di me.

E poi rideva e seguitava a nuotare: e dopo un poco, rivoltandosi indietro, urlava pi? forte:

– Addio, padrone; se avete bisogno di un po’ di legno per accendere il caminetto, ricordatevi di me.

Si era tanto allontanato, che non si vedeva quasi pi?.

Intanto che Pinocchio nuotava alla ventura, vide in mezzo al mare uno scoglio che pareva di marmo bianco, e su in cima allo scoglio, una bella capretta che belava e gli faceva segno di avvicinarsi.

La cosa pi? singolare era questa: che la lana della capretta era tutta turchina, ma d’un turchino cos? sfolgorante, che rammentava moltissimo i capelli della bella Bambina.

Lascio pensare a voi se il cuore del povero Pinocchio cominci? a battere pi? forte! Raddoppiando di forza e di energia si dette a nuotare verso lo scoglio bianco: ed era gi? a mezza strada, quand’ecco uscir fuori dell’acqua e venirgli incontro un’orribile testa di mostro marino, con la bocca spalancata, e tre filari di zanne.

Quel mostro marino era n? pi? n? meno quel Pescecane ricordato pi? volte in questa storia.

Immaginatevi lo spavento del povero Pinocchio, alla vista del mostro. Cerc? di scansarlo, di cambiare strada: cerc? di fuggire: ma quella immensa bocca spalancata gli veniva sempre incontro con la velocit? di una saetta.

– Affrettati, Pinocchio! – gridava belando la bella capretta.

E Pinocchio nuotava disperatamente con le braccia, col petto, con le gambe e coi piedi.

– Corri, Pinocchio, perch? il mostro si avvicina!..

E Pinocchio, raccogliendo tutte le sue forze, raddoppiava di lena nella corsa.

– Bada, Pinocchio!.. il mostro ti raggiunge!.. Eccolo!.. Eccolo!.. Affrettati per carit?, o sei perduto!..

E Pinocchio a nuotare pi? lesto che mai, e via, e via, e via, come anderebbe una palla di fucile. E gi? si accostava allo scoglio, e gi? la capretta gli porgeva le sue zampine davanti per aiutarlo a uscir fuori dell’acqua… Ma!..

Ma oramai era tardi! Il mostro lo aveva raggiunto. Il mostro si bevve il povero burattino, e lo inghiott? con tanta violenza, che Pinocchio, cascando gi? in corpo al Pescecane, batt? un colpo da restarne sbalordito per un quarto d’ora.

Quando ritorn? in s?, non sapeva raccapezzarsi, nemmeno lui, in che mondo si fosse. Intorno a s? c’era da ogni parte un gran buio: ma un buio cos? nero e profondo, che gli pareva di essere entrato col capo in un calamaio pieno d’inchiostro.

Stette in ascolto e non sent? nessun rumore: solamente di tanto in tanto sentiva battersi nel viso alcune grandi buffate di vento. Da principio non sapeva intendere da dove quel vento uscisse: ma poi cap? che usciva dai polmoni del mostro. Perch? bisogna sapere che il Pescecane soffriva moltissimo d’asma.

Pinocchio, sulle prime, s’ingegn? di farsi un po’ di coraggio: ma quand’ebbe la prova e la riprova di trovarsi chiuso in corpo al mostro marino, allora cominci? a piangere; e piangendo diceva:

– Aiuto! aiuto! Oh povero me! Non c’? nessuno che venga a salvarmi?

– Chi vuoi che ti salvi, disgraziato?… – disse in quel buio una voce fessa di chitarra scordata.

– Chi ? che parla cos?? – domand? Pinocchio.

– Sono io! sono un povero Tonno, inghiottito dal Pescecane insieme con te. E tu che pesce sei?

– Io sono un burattino.

– E allora, se non sei un pesce, perch? ti sei fatto inghiottire dal mostro?

– Non son io, che mi son fatto inghiottire: gli ? lui che mi ha inghiottito! Ed ora che cosa dobbiamo fare qui al buio?…

– Rassegnarsi e aspettare che il Pescecane ci abbia digeriti tutti e due!..

– Ma io non voglio esser digerito! – url? Pinocchio, ricominciando a piangere.

– Neppure io vorrei esser digerito! – soggiunse il Tonno – ma io sono abbastanza filosofo e mi consolo pensando che, quando si nasce Tonni, c’? pi? dignit? a morir sott’acqua che sott’olio!..

– Scioccherie! – grid? Pinocchio.

– La mia ? un’opinione – replic? il Tonno – e le opinioni, come dicono i Tonni politici, vanno rispettate!

– Insomma… io voglio andarmene di qui… io voglio fuggire…

– Fuggi, se ti riesce!..

– ? molto grosso questo Pescecane che ci ha inghiottiti? – domand? il burattino.

– Figurati che il suo corpo ? pi? lungo di un chilometro senza contare la coda.

Nel tempo che facevano questa conversazione al buio, parve a Pinocchio di veder lontan lontano una specie di chiarore.

– Che cosa sar? mai quel lumicino lontano lontano? – disse Pinocchio.

– Sar? qualche nostro compagno di sventura, che aspetter? come noi il momento di esser digerito!..

– Voglio andare a trovarlo. Non potrebbe darsi il caso che fosse qualche vecchio pesce capace d’insegnarmi la strada per fuggire?

– Io te l’auguro di cuore, caro burattino.

– Addio, Tonno.

– Addio, burattino: e buona fortuna.

– Dove ci rivedremo?…

– Chi lo sa?… ? meglio non pensarci neppure!

35. Pinocchio ritrova in corpo al Pescecane… chi ritrova? Leggete questo capitolo e lo saprete

Pinocchio, appena che ebbe detto addio al suo buon amico Tonno, si mosse brancolando in mezzo a quel buio, e camminando a tastoni dentro il corpo del Pescecane, si avvi? un passo dietro l’altro verso quel piccolo chiarore che vedeva baluginare lontano.

E nel camminare sent? che i suoi piedi sguazzavano in una pozzanghera d’acqua grassa.

E pi? andava avanti, e pi? il chiarore si faceva rilucente e distinto: finch?, cammina cammina, alla fine arriv?: e quando fu arrivato… trov? una piccola tavola, con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia di cristallo verde, e seduto a tavola un vecchiettino tutto bianco, il quale se ne stava l? biascicando alcuni pesciolini vivi, ma tanto vivi, che alle volte mentre li mangiava, gli scappavano perfino di bocca.

A quella vista il povero Pinocchio ebbe un’allegrezza grande e inaspettata. Voleva ridere, voleva piangere; e invece mugolava e balbettava delle parole sconclusionate. Finalmente gli riusc? di cacciar fuori un grido di gioia, e spalancando le braccia e gettandosi al collo del vecchietto, cominci? a urlare:

– Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio pi?, mai pi?, mai pi?!

– Dunque gli occhi mi dicono il vero? – replic? il vecchietto – Dunque tu se’ proprio il mi’ caro Pinocchio?

– S?, s?, sono io, proprio io! E voi mi avete gi? perdonato, non ? vero? Oh! babbino mio, come siete buono!.. e pensare che io, invece… Oh! ma se sapeste quante disgrazie mi son piovute sul capo e quante cose mi sono andate a traverso! Figuratevi che il giorno che voi, povero babbino, col vendere la vostra casacca, mi compraste l’Abbecedario per andare a scuola, io scappai a vedere i burattini, e il burattinaio mi voleva mettere sul fuoco perch? gli cocessi il montone arrosto, che fu quello poi che mi dette cinque monete d’oro, perch? le portassi a voi, ma io trovai la Volpe e il Gatto, che mi condussero all’Osteria del Gambero Rosso, dove mangiarono come lupi, e partito solo di notte incontrai gli assassini che si messero a corrermi dietro, e io via, e loro dietro, e io via, finch? m’impiccarono a un ramo della Quercia Grande, dovecch? la bella Bambina dai capelli turchini mi mand? a prendere con una carrozzina, e i medici, quando m’ebbero visitato, dissero subito: – “Se non ? morto, ? segno che ? sempre vivo” – e allora mi scapp? detta una bugia, e il naso cominci? a crescermi e non mi passava pi? dalla porta di camera, motivo per cui andai con la Volpe e col Gatto a sotterrare le quattro monete d’oro, che una l’avevo spesa all’Osteria, e il pappagallo si messe a ridere, e viceversa di duemila monete non trovai pi? nulla, la quale il Giudice quando seppe che ero stato derubato, mi fece subito mettere in prigione, per dare una soddisfazione ai ladri, di dove, col venir via, vidi un bel grappolo d’uva in un campo, che rimasi preso alla tagliola e il contadino di santa ragione mi messe il collare da cane perch? facessi la guardia al pollaio, che riconobbe la mia innocenza e mi lasci? andare, e il Serpente, colla coda che gli fumava, cominci? a ridere e gli si strapp? una vena sul petto, e cos? ritornai alla casa della bella Bambina, che era morta, e il Colombo vedendo che piangevo mi disse: “Ho visto il tu’ babbo che si fabbricava una barchettina per venirti a cercare”, e io gli dissi: “Oh! se avessi l’ali anch’io”, e lui mi disse: “Vuoi venire dal tuo babbo?”, e io gli dissi: “Magari! ma chi mi ci porta?”, e lui mi disse: “Ti ci porto io”, e io gli dissi: “Come?”, e lui mi disse: “Montami sulla groppa”, e cos? abbiamo volato tutta la notte, poi la mattina tutti i pescatori che guardavano verso il mare mi dissero: “C’? un pover’uomo in una barchetta che sta per affogare”, e io da lontano vi riconobbi subito, perch? me lo diceva il cuore, e vi feci segno di tornare alla spiaggia…

– Ti riconobbi anch’io – disse Geppetto – e sarei volentieri tornato alla spiaggia: ma come fare? Il mare era grosso e un cavallone rovesci? la barchetta. Allora un orribile Pescecane che era l? vicino, appena che m’ebbe visto nell’acqua corse subito verso di me, e tirata fuori la lingua e m’inghiott?.

– E quant’? che siete chiuso qui dentro? – domand? Pinocchio.

– Da quel giorno in poi, saranno oramai due anni: due anni, Pinocchio mio, che mi son parsi due secoli!

– E come avete fatto a campare? E dove avete trovata la candela?

– Ora ti racconter? tutto. Devi dunque sapere che quella medesima burrasca, che rovesci? la mia barchetta, fece anche affondare un bastimento mercantile. I marinai si salvarono tutti, ma il bastimento cal? a fondo e il solito Pescecane che quel giorno aveva un appetito eccellente, dopo avere inghiottito me, inghiott? anche il bastimento…

– Come? Lo inghiott? tutto in un boccone?… – domand? Pinocchio.

– Tutto in un boccone: e risput? solamente l’albero maestro[134], perch? gli era rimasto fra i denti come una lisca. Per mia gran fortuna, quel bastimento era carico non solo di carne conservata in cassette di stagno, ma di biscotto, di bottiglie di vino, d’uva secca, di caff?, di zucchero, di candele e di scatole di fiammiferi di cera. Con tutta questa grazia di Dio ho potuto campare due anni: ma oggi sono agli ultimi sgoccioli: oggi non c’? pi? nulla, e questa candela, che vedi accesa, ? l’ultima candela che mi sia rimasta…

– E dopo?…

– E dopo, caro mio, rimarremo tutt’e due al buio.

– Allora, babbino mio – disse Pinocchio – non c’? tempo da perdere. Bisogna pensar subito a fuggire…

– A fuggire?… e come?

– Scappando dalla bocca del Pesccane e gettandosi a nuoto in mare.

– Tu parli bene: ma io non so nuotare.

– E che importa?… Voi mi monterete a cavalluccio sulle spalle e io, che sono un buon nuotatore, vi porter? sano e salvo fino alla spiaggia.

– Illusioni, ragazzo mio! – replic? Geppetto. – Ti par egli possibile che un burattino, alto appena un metro, come sei tu, possa aver tanta forza da portarmi a nuoto sulle spalle?

– Provatevi e vedrete!

E senza dir altro, Pinocchio prese in mano la candela, e andando avanti per far lume, disse al suo babbo:

– Venite dietro a me, e non abbiate paura.

E cos? camminarono, e traversarono tutto il corpo e tutto lo stomaco del Pescecane. Ma giunti al punto dove cominciava la spaziosa gola del mostro, pensarono bene di fermarsi per dare un’occhiata e cogliere il momento opportuno alla fuga.

Ora bisogna sapere che il Pescecane, essendo molto vecchio e soffrendo d’asma e di palpitazione di cuore, era costretto a dormire a bocca aperta: per cui Pinocchio, affacciandosi al principio della gola e guardando in su, pot? vedere al di fuori di quell’enorme bocca spalancata un bel pezzo di cielo stellato e un bellissimo lume di luna.

– Questo ? il vero momento di scappare – bisbigli? allora voltandosi al suo babbo. – Il Pescecane dorme come un ghiro: il mare ? tranquillo. Venite dunque, babbino, dietro a me, e fra poco saremo salvi.

Detto fatto, salirono su per la gola del mostro marino, e arrivati in quell’immensa bocca, cominciarono a camminare in punta di piedi sulla lingua. E gi? stavano per fare il gran salto e per gettarsi a nuoto nel mare, quando il Pescecane starnut?, e nello starnutire, dette uno scossone cos? violento, che Pinocchio e Geppetto si trovarono rimbalzati all’indietro e scaraventati novamente in fondo allo stomaco del mostro.

Nel grand’urto della caduta la candela si spense, e padre e figliolo rimasero al buio.

– E ora?… – domand? Pinocchio facendosi serio.

– Ora, ragazzo mio, siamo perduti.

– Perch? perduti? Datemi la mano, babbino!

– Dove mi conduci?

– Dobbiamo ritentare la fuga.

Ci? detto, Pinocchio prese il suo babbo per la mano: e camminando sempre in punta di piedi, risalirono insieme su per la gola del mostro: poi traversarono tutta la lingua e scavalcarono i tre filari di denti.

Prima per? di fare il gran salto, il burattino disse al suo babbo:

– Montatemi a cavalluccio sulle spalle e abbracciatemi forte forte. Al resto ci penso io.

Appena Geppetto si fu accomodato sulle spalle del figliolo, il bravo Pinocchio si gett? nell’acqua e cominci? a nuotare. Il mare era tranquillo come un olio: la luna splendeva in tutto il suo chiarore e il Pescecane seguitava a dormire di un sonno cos? profondo, che non l’avrebbe svegliato nemmeno una cannonata.

36. Finalmente Pinocchio cessa d’essere un burattino e diventa un ragazzo

Mentre Pinocchio nuotava per raggiungere la spiaggia, si accorse che il suo babbo tremava fitto fitto, come se al pover’uomo gli battesse la febbre.

Tremava di freddo o di paura? Chi lo sa?… Forse un po’ dell’uno e un po’ dell’altra. Ma Pinocchio, credendo che quel tremito fosse di paura, gli disse per confortarlo:

– Coraggio, babbo! Fra pochi minuti arriveremo a terra e saremo salvi.

– Ma dov’? questa spiaggia benedetta? – domand? il vecchietto. – Eccomi qui, che guardo da tutte le parti e non vedo altro che cielo e mare.

– Ma io vedo anche la spiaggia – disse il burattino. – Per vostra regola io sono come i gatti: ci vedo meglio di notte che di giorno.

Il povero Pinocchio faceva finta di esser di buon umore: ma invece… invece cominciava a scoraggiarsi: le forze gli scemavano, il suo respiro diventava grosso e affannoso… insomma non ne poteva pi?, e la spiaggia era sempre lontana.

Nuot? finch? ebbe fiato: poi si volt? col capo verso Geppetto, e disse con parole interrotte:

– Babbo mio… aiutatevi… perch? io muoio!..

E padre e figliolo erano oramai sul punto di affogare, quando udirono una voce di chitarra scordata che disse:

– Chi ? che muore?

– Sono io e il mio povero babbo!

– Questa voce la riconosco! Tu sei Pinocchio!..

– Preciso: e tu?

– Io sono il Tonno, il tuo compagno di prigionia in corpo al Pescecane.

– E come hai fatto a scappare?

– Ho imitato il tuo esempio. Tu sei quello che mi hai insegnato la strada, e dopo te, sono fuggito anch’io.

– Tonno mio, tu capiti proprio a tempo! Ti prego per l’amore che porti ai Tonnini tuoi figlioli: aiutaci, o siamo perduti.

– Volentieri e con tutto il cuore. Attaccatevi tutti e due alla mia coda, e lasciatevi guidare. In quattro minuti vi condurr? alla riva.

Geppetto e Pinocchio accettarono subito l’invito: ma invece di attaccarsi alla coda, giudicarono pi? comodo di mettersi addirittura a sedere sulla groppa del Tonno.

– Siamo troppo pesi? – gli domand? Pinocchio.

– Pesi? Neanche per ombra. – rispose il Tonno.

Giunti alla riva, Pinocchio salt? a terra il primo, per aiutare il suo babbo a fare altrettanto: poi si volt? al Tonno, e con voce commossa gli disse:

– Amico mio, tu hai salvato il mio babbo! Dunque non ho parole per ringraziarti abbastanza! Permetti almeno che ti dia un bacio, in segno di riconoscenza eterna!..

Il Tonno cacci? il muso fuori dell’acqua, e Pinocchio gli pos? un bacio sulla bocca. A questo tratto di spontanea e vivissima tenerezza, il povero Tonno, che non c’era avvezzo, si sent? talmente commosso, che vergognandosi a farsi veder piangere come un bambino, ricacci? il capo sott’acqua e spar?.

Allora Pinocchio, offrendo il suo braccio a Geppetto, che aveva appena il fiato di reggersi in piedi, gli disse:

– Appoggiatevi pure al mio braccio, caro babbino, e andiamo. Cammineremo pian pianino come le formicole, e quando saremo stanchi, ci riposeremo lungo la via.

– E dove dobbiamo andare? – domand? Geppetto.

– In cerca di una casa, dove ci diano per carit? un boccon di pane e un po’ di paglia che ci serva da letto.

Non avevano ancora fatti cento passi, che videro seduti sul ciglione della strada due brutti ceffi, i quali stavano l? in atto di chiedere l’elemosina.

Erano il Gatto e la Volpe: ma non si riconoscevano pi? da quelli d’una volta. Figuratevi che il Gatto, a furia di fingersi cieco, aveva finito coll’accecare davvero: e la Volpe invecchiata, non aveva pi? nemmeno la coda. Quella trista ladracchiola, caduta nella pi? squallida miseria, si trov? costretta un bel giorno a vendere perfino la sua bellissima coda a un merciaio ambulante.

– O Pinocchio – grid? la Volpe – fai un po’ di carit? a questi due poveri infermi.

– Infermi! – ripet? il Gatto.

– Addio, mascherine! – rispose il burattino. – Mi avete ingannato una volta, e ora non mi ripigliate pi?.

– Credilo, Pinocchio, che oggi siamo poveri e disgraziati davvero!

– Davvero! – ripet? il Gatto.

– Se siete poveri, ve lo meritate. Ricordatevi del proverbio che dice: “I quattrini rubati non fanno mai frutto”. Addio, mascherine!

– Abbi compassione di noi!..

– Di noi!

– Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: “La farina del diavolo va tutta in crusca”.

– Non ci abbandonare!

– …are! – ripet? il Gatto.

– Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: “Chi ruba il mantello al suo prossimo, per il solito muore senza camicia”.

E cos? dicendo, Pinocchio e Geppetto seguitarono per la loro strada: finch?, fatti altri cento passi, videro in fondo a una viottola, in mezzo ai campi, una bella capanna tutta di paglia, e col tetto coperto d’embrici e di mattoni.

– Quella capanna dev’essere abitata da qualcuno – disse Pinocchio. – Andiamo l?, e bussiamo.

Difatti andarono, e bussarono alla porta.

– Chi ?? – disse una vocina di dentro.

– Siamo un povero babbo e un povero figliolo, senza pane e senza tetto – rispose il burattino.

– Girate la chiave, e la porta si aprir? – disse la solita vocina.

Pinocchio gir? la chiave, e la porta si apr?. Appena entrati dentro, guardarono di qua, guardarono di l?, e non videro nessuno.

– O il padrone della capanna dov’?? – disse Pinocchio meravigliato.

– Eccomi quass?!

Babbo e figliolo si voltarono subito verso il soffitto, e videro sopra un travicello il Grillo-parlante.

– Oh! mio caro Grillino – disse Pinocchio salutandolo garbatamente.

– Ora mi chiami il “Tuo caro Grillino”, non ? vero? Ma ti rammenti di quando, per cacciarmi di casa tua, mi tirasti un manico di martello?…

– Hai ragione, Grillino! Scaccia anche me… tira anche a me un manico di martello: ma abbi piet? del mio povero babbo…

– Io avr? piet? del babbo e anche del figliolo: ma ho voluto rammentarti il brutto garbo ricevuto, per insegnarti che in questo mondo, quando si pu?, bisogna mostrarsi cortesi con tutti, se vogliamo esser ricambiati con pari cortesia nei giorni del bisogno.

– Hai ragione, Grillino, e io terr? a mente la lezione che mi hai data. Ma mi dici come hai fatto a comprarti questa bella capanna?

– Questa capanna mi ? stata regalata ieri da una graziosa capra, che aveva la lana d’un bellissimo colore turchino.

– E la capra dov’? andata? – domand? Pinocchio, con vivissima curiosit?.

– Non lo so.

– E quando ritorner??…

– Non ritorner? mai. Ieri ? partita tutta afflitta, e, belando, pareva che dicesse: “Povero Pinocchio… oramai non lo rivedr? pi?… il Pescecane a quest’ora l’avr? divorato!..”

– Ha detto proprio cos??… Dunque era lei!.. era lei!.. era la mia cara Fatina!.. – cominci? a urlare Pinocchio, piangendo.

Quand’ebbe pianto ben bene, si rasciug? gli occhi e, preparato un buon lettino di paglia, vi distese sopra il vecchio Geppetto. Poi domand? al Grillo-parlante:

– Dimmi, Grillino: dove potrei trovare un bicchiere di latte per il mio povero babbo?

– Tre campi distante di qui c’? l’ortolano Giangio, che tiene le mucche. Va’ da lui e troverai il latte che cerchi.

Pinocchio and? di corsa a casa dell’ortolano Giangio: ma l’ortolano gli disse:

– Quanto ne vuoi del latte?

– Ne voglio un bicchiere pieno.

– Un bicchiere di latte costa un soldo.

– Non ho nemmeno un centesimo – rispose Pinocchio.

– Male, burattino mio – replic? l’ortolano. – Se tu non hai nemmeno un centesimo, io non ho nemmeno un dito di latte.

– Pazienza! – disse Pinocchio, e fece l’atto di andarsene.

– Aspetta un po’ – disse Giangio. – Fra te e me ci possiamo accomodare. Vuoi adattarti a girare il bindolo?

– Che cos’? il bindolo?

– Gli ? quell’ordigno di legno, che serve a tirar su l’acqua dalla cisterna per annaffiare gli ortaggi.

– Mi prover?…

– Dunque, tirami su cento secchie d’acqua, e io ti regaler? in compenso un bicchiere di latte.

– Sta bene.

Giangio condusse il burattino nell’orto e gl’insegn? la maniera di girare il bindolo. Pinocchio si pose subito al lavoro; ma prima di aver tirato su le cento secchie d’acqua, era tutto grondante di sudore dalla testa ai piedi. Una fatica a quel modo non l’aveva durata mai.

– Finora questa fatica di girare il bindolo – disse l’ortolano – l’ho fatta fare al mio ciuchino: ma oggi quel povero animale ? in fin di vita.

– Mi menate a vederlo? – disse Pinocchio.

– Volentieri.

Appena che Pinocchio fu entrato nella stalla vide un bel ciuchino disteso sulla paglia, rifinito dalla fame e dal troppo lavoro. Quando l’ebbe guardato, disse dentro di s?:

– Eppure quel ciuchino lo conosco!

E chinatosi fino a lui, gli domand? in dialetto asinino:

– Chi sei?

A questa domanda, il ciuchino apr? gli occhi, e rispose balbettando nel medesimo dialetto:

– Sono Lu… ci… gno… lo…

E dopo richiuse gli occhi e spir?.

– Oh! povero Lucignolo! – disse Pinocchio a mezza voce: e si rasciug? una lacrima che gli colava gi? per il viso.

– Ti commuovi tanto per un asino che non ti costa nulla? – disse l’ortolano. – Che cosa dovrei far io che lo comprai a quattrini contanti?

– Vi dir?… era un mio amico!..

– Tuo amico?

– Un mio compagno di scuola!..

– Come?! – url? Giangio dando in una gran risata. – Come?! avevi dei somari per compagni di scuola?… Figuriamoci i begli studi che devi aver fatto!..

Il burattino non rispose: ma prese il suo bicchiere di latte quasi caldo, e se ne torn? alla capanna.

E da quel giorno in poi, continu? pi? di cinque mesi a levarsi ogni mattina, prima dell’alba, per andare a girare il bindolo, e guadagnare cos? quel bicchiere di latte, che faceva tanto bene alla salute del suo babbo. N? si content? di questo: perch? a tempo avanzato, impar? a fabbricare anche i canestri e i panieri di giunco: e coi quattrini che ne ricavava, provvedeva con moltissimo giudizio a tutte le spese giornaliere. Fra le altre cose, costru? da s? stesso un elegante carrettino per condurre a spasso il suo babbo nelle belle giornate, e per fargli prendere una boccata d’aria.

Nelle veglie poi della sera, si esercitava a leggere e a scrivere. Aveva comprato nel vicino paese per pochi centesimi un grosso libro, e con quello faceva la sua lettura.

Fatto sta, che con la sua buona volont? d’ingegnarsi, di lavorare, non solo era riuscito a mantenere il suo genitore sempre malaticcio, ma per di pi? aveva potuto mettere da parte anche quaranta soldi per comprarsi un vestitino nuovo.

Una mattina disse a suo padre:

– Vado qui al mercato vicino, a comprarmi una giacchettina, un berrettino e un paio di scarpe.

E uscito di casa, cominci? a correre tutto allegro e contento. Quando a un tratto sent? chiamarsi per nome: e voltandosi, vide una bella lumaca che sbucava fuori dalla siepe.

– Non mi riconosci? – disse la Lumaca.

– Mi pare e non mi pare…

– Non ti ricordi di quella Lumaca, che stava per cameriera con la Fata dai capelli turchini? non ti rammenti di quella volta, quando scesi a farti lume e che tu rimanesti con un piede confitto nell’uscio di casa?

– Mi rammento di tutto – grid? Pinocchio. – Rispondimi subito, Lumachina bella: dove hai lasciato la mia buona Fata? che fa? mi ha perdonato? si ricorda sempre di me? mi vuol sempre bene? ? molto lontana di qui? potrei andare a trovarla?

A tutte queste domande la Lumaca rispose con la sua solita flemma.

– Pinocchio mio! La povera Fata giace in un fondo di letto allo spedale!..

– Allo spedale?…

– Pur troppo. Colpita da mille disgrazie, si ? gravemente ammalata, e non ha pi? da comprarsi un boccon di pane.

– Davvero?… Oh! che gran dolore che mi hai dato! Oh! povera Fatina! povera Fatina! Povera Fatina!.. Se avessi un milione, correrei a portarglielo… Ma io non ho che quaranta soldi… eccoli qui: andavo giusto a comprarmi un vestito nuovo. Prendili, Lumaca, e va’ a portarli subito alla mia buona Fata.

– E il tuo vestito nuovo?…

– Che m’importa del vestito nuovo? Venderei anche questi cenci che ho addosso, per poterla aiutare! Va’, Lumaca, e spicciati: e fra due giorni ritorna qui, ch? spero di poterti dare qualche altro soldo. Finora ho lavorato per mantenere il mio babbo: da oggi in l?, lavorer? cinque ore di pi? per mantenere anche la mia buona mamma. Addio, Lumaca, e fra due giorni ti aspetto.

Quando Pinocchio torn? a casa, il suo babbo gli domand?:

– E il vestito nuovo?

– Non m’? stato possibile di trovarne uno che mi tornasse bene. Pazienza!.. Lo comprer? un’altra volta.

Quella sera Pinocchio, invece di vegliare fino alle dieci, vegli? fino alla mezzanotte sonata: e invece di far otto canestri di giunco, ne fece sedici.

Poi and? a letto e si addorment?. E nel dormire, gli parve di vedere in sogno la Fata, tutta bella e sorridente, la quale, dopo avergli dato un bacio, gli disse cos?: “Bravo Pinocchio! In grazia del tuo buon cuore, io ti perdono tutte le monellerie che hai fatto fino a oggi. I ragazzi che assistono i propri genitori nelle loro miserie, meritano sempre gran lode, anche se non possono esser citati come modelli d’ubbidienza e di buona condotta. Metti giudizio per l’avvenire, e sarai felice”.

A questo punto il sogno fin?, e Pinocchio si svegli?.

Ora immaginatevi voi quale fu la sua meraviglia quando si accorse che non era pi? un burattino di legno: ma che era diventato, invece, un ragazzo come tutti gli altri. Dette un’occhiata all’intorno e invece delle solite pareti di paglia della capanna, vide una bella camerina ammobiliata con una semplicit? quasi elegante. Saltando gi? dal letto, trov? preparato un bel vestiario nuovo, un berretto nuovo e un paio di stivaletti di pelle.

Appena si fu vestito, gli venne fatto naturalmente di mettere le mani nelle tasche e tir? fuori un piccolo portamonete d’avorio, sul quale erano scritte queste parole: “La Fata dai capelli turchini restituisce al suo caro Pinocchio i quaranta soldi e lo ringrazia tanto del suo buon cuore”. Aperto il portafoglio, invece dei 40 soldi di rame, vi luccicavano quaranta zecchini d’oro.

Dopo and? a guardarsi allo specchio, e gli parve d’essere un altro. Non vide pi? riflessa la solita immagine della marionetta di legno, ma vide l’immagine vispa e intelligente di un bel fanciullo coi capelli castagni, cogli occhi celesti e con un’aria allegra.

In mezzo a tutte queste meraviglie, che si succedevano le une alle altre, Pinocchio non sapeva pi? nemmeno lui se era desto davvero o se sognava sempre a occhi aperti.

– E il mio babbo dov’?? – grid?: ed entrato nella stanza accanto trov? il vecchio Geppetto sano, arzillo e di buon umore, come una volta, il quale, avendo ripreso subito la sua professione d’intagliatore, stava appunto disegnando una bellissima cornice ricca di fogliami, di fiori e di testine di diversi animali.

– Levatemi una curiosit?, babbino: ma come si spiega tutto questo cambiamento improvviso? – gli domand? Pinocchio saltandogli al collo e coprendolo di baci.

– Questo improvviso cambiamento in casa nostra ? tutto merito tuo – disse Geppetto.

– Perch? merito mio?…

– Perch? quando i ragazzi, di cattivi diventano buoni, hanno la virt? di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all’interno delle loro famiglie.

– E il vecchio Pinocchio di legno dove si sar? nascosto?

– Eccolo l? – rispose Geppetto: e gli accenn? un grosso burattino appoggiato a una seggiola, col capo girato su una parte, e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere un miracolo se stava ritto.

Pinocchio si volt? a guardarlo; e disse dentro di s? con grandissima compiacenza:

– Com’ero buffo, quand’ero un burattino! e come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene!..

Èòàëüÿíñêî-ðóññêèé ñëîâàðü

A

abbaco – àáàê, ñ÷åò

abbaiare – ëàÿòü

abballottare – ïîäáðàñûâàòü, òðÿñòè

abbassare – îïóñêàòü

abbecedario – áóêâàðü

abbellire – óêðàøàòü

abbindolare – çàïóòûâàòü, îáìàíûâàòü

abboccare – õâàòàòü ðòîì

abilit? – óìåíèå, ñïîñîáíîñòü

accarezzare – ëàñêàòü, ãëàäèòü

accattone m – íèùèé, ïîïðîøàéêà

accavallarsi – íàãðîìîæäàòüñÿ

accecare – îñëåïíóòü

accennare – ïîäàâàòü çíàê, êèâàòü ãîëîâîé

acciuga – àí÷îóñ

acciuffarsi – ïîäðàòüñÿ, âöåïèòüñÿ äðóã äðóãó â âîëîñû

accostare – ïðèáëèæàòü

accostarsi – ïðèáëèæàòüñÿ

accusare – îáâèíÿòü

acquisto – ïðèîáðåòåíèå

addosso – íà ñåáå, ñîâñåì áëèçêî

affacciarsi – ïîêàçûâàòüñÿ, âûãëÿäûâàòü

affannoso – òÿæåëûé, çàòðóäíåííûé

affaticarsi – óòîìëÿòüñÿ, íàïðÿæåííî ðàáîòàòü

afferrare – õâàòàòü, ëîâèòü

affettuoso – ëàñêîâûé

affibbiare – çàñòåãèâàòü íà ïðÿæêó, íàíîñèòü óäàðû

affilato – îòòî÷åííûé, îñòðûé

afflitto – ïå÷àëüíûé

affogare – çàäûõàòüñÿ

affollare – óñòðàèâàòü äàâêó

affondare – ïîãðóæàòü â âîäó

affronto – îáèäà, îñêîðáëåíèå

agghindare – èçûñêàííî îäåâàòü

aggiustare – ïîïðàâëÿòü, óëàæèâàòü

aggranchiato – îêî÷åíåëûé

agguantare – êðåïêî ñõâàòèòü

agguantarsi – õâàòàòüñÿ

agnellino – îâå÷êà

aia – ãóìíî

aizzare – íàóñüêèâàòü

ala – êðûëî

alabastro – àëåáàñòð

alitare – äûøàòü, ñëåãêà âåÿòü

allampanato – õóäîé

allorch? – êîãäà

altrettanto – ñòîëüêî æå, òîæå

ambulante – áðîäÿ÷èé

amicare – ïðèó÷àòü, ñáëèæàòü

ammaestrare – îáó÷àòü

ammazzare – óáèâàòü

ammodo – îñòîðîæíî

ammonire – ïðåäîñòåðåãàòü

ammutolire – òåðÿòü äàð ðå÷è

anguilla – óãîðü

annaffiare – ïîëèâàòü

annaspare – íàìàòûâàòü, æåñòèêóëèðîâàòü

ansante – çàäûõàþùèéñÿ

antifona – ïîïðåêè

anzi – íàïðîòèâ

ape – ï÷åëà

appagare – óäîâëåòâîðÿòü

appannarsi – ïîòóñêíåòü

apparizione – ïîÿâëåíèå

appassito – çàñîõøèé, óâÿäøèé

appiccare – ïðèêëåèâàòü, ïðèêðåïëÿòü

appicciare – ñêðåïëÿòü, ñîåäèíÿòü

appollaiarsi – ïðèñòðîèòüñÿ

apposta – íàðî÷íî

appostare – ïîäñòåðåãàòü

appropriare – ïðèñïîñàáëèâàòü

appuntato – îñòðûé

arboscello m— äåðåâöå

ardito – ñìåëûé

arnese – èíñòðóìåíò

arrampicarsi – êàðàáêàòüñÿ

arrosto – æàðêîå

arrotato – íàòî÷åííûé

arruffarsi – ðàñòðåïàòüñÿ, ññîðèòüñÿ

arruffio – ïóòàíèöà

artificiale – èñêóññòâåííûé

arzillo – áîäðûé

ascia – òîïîð

asciata f – óäàð òîïîðîì

asciutto – ñóõîé

asinello – îñëèê

asino – îñåë

attaccatura – ñîåäèíåíèå

attentarsi – îñìåëèâàòüñÿ

attorcigliare – ñêðó÷èâàòü

augurio – ïðåäñêàçàíèå

avorio m – ñëîíîâàÿ êîñòü

avvedersi – çàìå÷àòü, äîãàäûâàòüñÿ

avventarsi – áðîñàòüñÿ, êèäàòüñÿ

avvezzarsi – ïðèâûêàòü

avvezzo – ïðèâûêøèé

avviarsi – îòïðàâëÿòüñÿ â ïóòü

avviticchiarsi – îáâèâàòüñÿ

azzannare – êóñàòü, õâàòàòü çóáàìè

azzoppire – îõðîìåòü

B

babbo – ïàïà

baffo m – óñ

bagnare – ìî÷èòü, óâëàæíÿòü

balbettare – çàïèíàòüñÿ, çàèêàòüñÿ

balia f– êîðìèëèöà, âëàñòü

balocco – èãðóøêà

baluginare – ìåðöàòü

bara – ïîõîðîííûå íîñèëêè

baraccone – áàëàãàí

baraonda – òîëêîòíÿ

barbagianni – äóðåíü

barbero – áåðáåðñêèé ñêàêóí

barcollare – êà÷àòüñÿ, øàòàòüñÿ

barricare – áàððèêàäèðîâàòü

bastimento m – ñóäíî, êîðàáëü

bastonata f – óäàð ïàëêîé

bastone m – ïàëêà

battente – äâåðíîé ìîëîòîê

battibecco – ïåðåïàëêà, ïåðåáðàíêà

bazza f – îñòðûé ïîäáîðîäîê

bazzicare – ÷àñòî ïîñåùàòü

beccare – êëåâàòü, ñõâàòèòü

becchino m – ìîãèëüùèê

becco – êëþâ

belare – áëåÿòü

benedetto – æåëàííûé

benefattrice – áëàãîäåòåëüíèöà

benignit? f – áëàãîäóøèå

berciare – îðàòü

berlicche m invar – äüÿâîë

bestiolo m – çâåðåê

biancheggiare – áåëåòüñÿ, áåëèòü

biascicare – ìåäëåííî æåâàòü

bighellone m – áåçäåëüíèê

bigio – ñåðûé

bindolo m – ìîòîâèëî

birba – íåãîäÿé, ìåðçàâåö

birichinata f – øàëîñòü, îçîðñòâî

bisbigliare – øåïòàòü

bisticciare – ññîðèòüñÿ, âçäîðèòü

bizza f – âñïûøêà ãíåâà

bizzoso – âñïûëü÷èâûé

boccone – êóñîê, ãëîòîê

bollire – êèïåòü

borbottare – âîð÷àòü, áîðìîòàòü

botta – óäàð

brace – æàð, ãîðÿùèå óãëè

branco – ñòàäî

brancolare – èäòè íà îùóïü

brigante m – ðàçáîéíèê

brizzolato – ïåñòðûé

brocca f – êóâøèí

brontolare – âîð÷àòü

bruciato – ñãîðåâøèé

brulicare – êèøåòü, êîïîøèòüñÿ

bubbolo – êîëîêîëü÷èê

buccia – êîæóðà

bue – òóïèöà, íåâåæäà

buffata – ïîðûâ âåòðà

buffone m —– øóò

bugiardo – ëæåö

burlare – ïîäøóòèòü

burattinaio m – êóêîëüíèê

burattino – ìàðèîíåòêà

burrasca f – áóðÿ, øòîðì

burbero – óãðþìûé, âîð÷ëèâûé

buscare – èñêàòü, ðàçûñêèâàòü

buscarsi – äîáûòü ñåáå

buttarsi – áðîñàòüñÿ

C

cacio m – ñûð

calare – îïóñêàòü

calarsi – ñïóñêàòüñÿ, îïóñêàòüñÿ

calcina f – èçâåñòêà

caldano m – æàðîâíÿ

calcio m – óäàð íîãîé, ïèíîê

calunnia – êëåâåòà

cagionare – ïðè÷èíÿòü

camelia – êàìåëèÿ

caminetto m – êàìèí

campanello m – êîëîêîëü÷èê

campare – èçáàâëÿòü, ñïàñàòü

candito m – öóêàò

cane-barbone – ïóäåëü

canestro m – êîðçèíà, ëóêîøêî

canterellare – íàïåâàòü

cantina f – ïîãðåá

cantuccio m – ãîðáóøêà

canzonare – íàñìåõàòüñÿ

canzonatura f – íàñìåøêà

capanna f – õèæèíà

capitare – ïîÿâëÿòüñÿ

capitolo – ãëàâà (êíèãè)

capretto m – êîçëåíîê

capriccio – êàïðèç

carabiniere m – êàðàáèíåð

carbonaio m – óãîëüùèê

carceriere m – òþðåìùèê

carezzevole – ëàñêîâûé

carico – íàãðóæåííûé

caritevole – ìèëîñåðäíûé

carponi – íà ÷åòâåðåíüêàõ

carretto m – òåëåæêà

carriera f – êàðüåð (àëëþð ëîøàäè)

carrozza f – êàðåòà

cartapecora f – ïåðãàìåíò

cartoncino – òîíêèé êàðòîí

casacca f – êóðòêà

casamento m – áîëüøîé äîì

casigliano m – ñîñåä ïî äîìó

casotto m – áóäêà

cassa f – áàðàáàí

cassetta – ÿùèê

castigo m – íàêàçàíèå

catasta f – øòàáåëü, êó÷à

catenella f – öåïî÷êà

catinella f – òàçèê

cavalcatura – âåðõîâàÿ ëîøàäü

cavallerizzo m – öèðêîâîé íàåçäíèê

cavallone m – ñòàòíûé êîíü

cavezza f – óçäà

cavolfiore m – öâåòíàÿ êàïóñòà

cedere – îòñòóïàòü

ceffo m– ìîðäà

celeste – íåáåñíûé

cera f – âîñê

cespuglio m – êóñòàðíèê

cessare – êîí÷àòüñÿ, ïðåêðàùàòüñÿ

chetare – óñïîêàèâàòü

chiacchiericcio m – øóìíàÿ áîëòîâíÿ

chiara f – áåëîê

chiarore m – ñëàáûé ñâåò

chiasso m – øóì, ãàì

chicco – çåðíî

ciabatta f – òóôëÿ áåç çàäíèêà

ciarla – ñïëåòíÿ

ciccia – ìÿñî, òåëî

ciglione m – íàñûïü

cigolare – ñêðèïåòü, òðåùàòü

ciocca f – ïðÿäü

ciondoloni – â âèñÿ÷åì ïîëîæåíèè

ciottolo m – áóëûæíèê, ãàëüêà

circostante – îêðóæàþùèé

civetta f – ñîâà

ciuchino m – îñëèê

ciuco m – îñåë

cocchiere m – êó÷åð

colla f – êëåé

collana f – îæåðåëüå

collare m – îøåéíèê

collera f – ãíåâ

collottola f – çàòûëîê, çàãðèâîê

colombaia f – ãîëóáÿòíÿ

colonna f – êîëîííà

coltellaccio m – áîëüøîé íîæ

coltellino – ïåðî÷èííûé íîæ

commovente – âîëíóþùèé

compare – êóì

compatire – ñî÷óâñòâîâàòü

compassione f – æàëîñòü, ñîñòðàäàíèå

compassionevole – äîñòîéíûé ñîñòðàäàíèÿ

compitare – ÷èòàòü ïî ñêëàäàì

complimentoso – ëþáåçíûé

complotto m – çàãîâîð

comporre – ñîñòàâëÿòü, êëàñòü

comunale – ãîðîäñêîé

conca f – òàç

condito – ïðèïðàâëåííûé

condurre – âîäèòü, îòâîäèòü

conficcare – âáèâàòü

confortare – óòåøàòü

coniglio m – êðîëèê

consolazione f – óòåøåíèå

consolare – óòåøàòü, ïîääåðæèâàòü

contentarsi – äîâîëüñòâîâàòüñÿ

contentezza f – óäîâëåòâîðåííîñòü, ðàäîñòü

contorno m – î÷åðòàíèå, ãàðíèð

contraddire – ïðîòèâîðå÷èòü

convertirsi – ïðåâðàùàòüñÿ

corbello m – êîðçèíêà

cornice f – ðàìà

correggere – èñïðàâëÿòü

corvo m – âîðîí

cospicuo – çàìåòíûé, ÿâíûé

costaggi? – òàì âíèçó

costola f – ðåáðî

creanza f – âîñïèòàííîñòü

cremisi – êàðìàçèííûé öâåò

crepacuore – ñêîðáü

cresta f – ãðåáåíü

criniera f – ãðèâà

crocchiare – õðóñòåòü

crosterello m – ñóõàðèê

crusca f – îòðóáè

cuccagna f – èçîáèëèå

cuccia f – ñîáà÷üÿ ïîäñòèëêà

cupo – ãëóáîêèé

D

daccapo – ñíîâà

davanzale – ïîäîêîííèê

defunto – ïîêîéíûé

denunziare – çàÿâëÿòü

derisorio – íàñìåøëèâûé

desto – áîäðñòâóþùèé

difilato – ïðÿìî, íåìåäëåííî

digerire – ïåðåâàðèâàòü (ïèùó)

digrossare – îáòåñûâàòü

diluviare – ëèòü êàê èç âåäðà

dimenare – ìàõàòü, ðàçìàõèâàòü

dimolto – ìíîãî÷èñëåííûé

dinanzi – âïåðåäè, ñïåðåäè

dipinto – ðàçðèñîâàííûé

dipoi – ïîñëå òîãî

disagio m – íåóäîáñòâî, çàòðóäíåíèå

discorrere – ðàçãîâàðèâàòü

disinvoltura f – íåïðèíóæäåííîñòü

disperarsi – îò÷àèâàòüñÿ

distendere – ðàçâåðòûâàòü, ðàññòèëàòü

disteso – ðàñòÿíóòûé

distinto – îòëè÷íûé, ðàçëè÷íûé

divincolarsi – èçâèâàòüñÿ

dondolare – êà÷àòü, ðàñêà÷èâàòü

dondolarsi – ðàñêà÷èâàòüñÿ

dunque – èòàê

E

eccellenza f – ïðåâîñõîäèòåëüñòâî

elemosina f – ìèëîñòûíÿ

embrice – ïëîñêàÿ ÷åðåïèöà

eppure – îäíàêî

equestre – êîííûé

esitare – êîëåáàòüñÿ, ñîìíåâàòüñÿ

estro m – ñòèìóë

esultanza f – ëèêîâàíèå

evviva – äà çäðàâñòâóåò

F

fagotto m – òþê, ñâåðòîê

faina f – êóíèöà

falco m – ñîêîë

falegname m – ñòîëÿð

fantasticare – ôàíòàçèðîâàòü

fastello m – ñâÿçêà, ïóê

fazzoletto m – ïëàòîê

fetta f – ëîìîòü, êóñîê

fesso – ðàñêîëîòûé, ðàçáèòûé

fiammata f – âñïûøêà ïëàìåíè

ficcarsi – çàñîâûâàòü

fieno m – ñåíî

fiammifero m – ñïè÷êà

fiasco m – íåóäà÷à

fibbia f – ïðÿæêà, çàñòåæêà

ficcare – âáèâàòü

figliolo m – ñûíîê

figurarsi – ïðåäñòàâëÿòü ñåáå

filare – ïðîñà÷èâàòüñÿ, òÿíóòü

filo m – íèòêà

fine – êîíåö

fiorito – öâåòóùèé

flagello m – áè÷

flussione f – âîñïàëåíèå

focolare m – î÷àã

fodera f – ïîäêëàäêà

foga f – ïûë

folto – ãóñòîé

formicola f – ìóðàâåé

formicolare – êèøåòü

fosso m – ÿìà, êàíàâà

fracasso m – øóì, ãðîõîò

fradicio – ìîêðûé, ñûðîé

frasca f – âåòêà

fratellanza – áðàòñòâî

frenare – òîðìîçèòü, çàìåäëÿòü

frode f – îáìàí

frontespizio m – òèòóëüíûé ëèñò

frotta – ãóðüáà

frugare – ðûòüñÿ

fruscio – øåëåñò

frusta f – êíóò

frustata f – óäàð êíóòîì

frustagno m – áóìàçåÿ

fulminato – ïîðàæåííûé ìîëíèåé

fune f – âåðåâêà

furfante m – íåãîäÿé

fusto m – ñòâîë

G

gala f – ïðàçäíèê

galleggiare – ïëàâàòü íà ïîâåðõíîñòè, âñïëûâàòü

gara f – ñîñòÿçàíèå

garbo m – âåæëèâîñòü

garzone m – ïîäìàñòåðüå

gattabuia f – êàòàëàæêà

gazza – ñîðîêà

gelone m – îáìîðîæåííîå ìåñòî

geranio m – ãåðàíü

germogliare – ïðîðàñòàòü

giacchetta f – æàêåò, êóðòêà

giacere – ëåæàòü

giucco – ãëóïûé

ghiaia f – ãðàâèé, ùåáåíü

ghiotto – æàäíûé

ghiottoneria f – îáæîðñòâî

ghiro m – ñîíÿ, ñóðîê

ginocchioni – íà êîëåíÿõ

giornaliero – åæåäíåâíûé

giovare – ïðèíîñèòü ïîëüçó

giubba f – êóðòêà

giunco m – êàìûø

giudizio m – ñóæäåíèå

giuntura f – ñîåäèíåíèå

giurare – êëÿñòüñÿ

gocciola f – êàïëÿ

gonfiato – íàäóòûé

gongolare – íàñëàæäàòüñÿ

gonzo – ãëóïûé

gora f – îðîñèòåëüíûé êàíàë

gradito – ïðèÿòíûé, æåëàííûé

graffarsi – óöåïèòüñÿ

grancassa f – áîëüøîé áàðàáàí

granchio m – êðàá

grandinare – ïàäàòü (î ãðàäå)

granturco m – êóêóðóçà

grappolo m – ãðîçäü

grattarsi – ÷åñàòüñÿ

grattata – ÷åñàíèå

grattato – òåðòûé

greppia f – êîðìóøêà

greppo m – îáðûâ

grillo m – ñâåð÷îê

grinfia f – êîãîòü

grondante – íàñêâîçü ïðîìîêøèé

groppa f – ñïèíà, êðóï

grullo m – ïðîñòîôèëÿ

guanciale m – ïîäóøêà

guarito – âûçäîðîâåâøèé

guazza f – îáèëüíàÿ óòðåííÿÿ ðîñà

guisa f – ëàä, ìàíåð

guscio m – ñêîðëóïà, øåëóõà

I

illustrissimo – ãëóáîêîóâàæàåìûé

imbacuccare – êóòàòü, çàêóòûâàòü

imbasciata f – èçâåñòèå

imbattersi – ñëó÷àéíî âñòðåòèòüñÿ

imbestialito – ðàçúÿðåííûé

imbrogliarsi – çàïóòûâàòüñÿ

imbroglione m – îáìàíùèê

imburrare – íàìàçûâàòü ìàñëîì

impadronirsi – îâëàäåâàòü

impazientirsi – òåðÿòü òåðïåíèå

impedire – ìåøàòü, ïðåïÿòñòâîâàòü

impegno m – îáÿçàòåëüñòâî, çàäà÷à

impermalito – îáèæåííûé

impertinente – äåðçêèé

impertinenza f – äåðçîñòü

impensierito – âñòðåâîæåííûé

impeto m – ïîðûâ

impetuoso – áóðíûé, ñòðåìèòåëüíûé

impiccare – âåøàòü

impietosire – âûçûâàòü æàëîñòü

impietosirsi – ðàñòðîãàòüñÿ

incantato – çà÷àðîâàííûé

inchiostro m – ÷åðíèëà

inciampare – ñïîòûêàòüñÿ, íàòàëêèâàòüñÿ

incoraggiare – îáîäðÿòü

indisposto – íåçäîðîâûé

indizio m – óêàçàíèå, ïðèçíàê

indovinare – óãàäûâàòü

indugiare – ìåäëèòü

industrioso – èñêóñíûé, óìåëûé

infarinare – ïîñûïàòü ìóêîé

inferocirsi – îæåñòî÷àòüñÿ

ineducato – íåâîñïèòàííûé

ingegnarsi – ñòàðàòüñÿ

ingegno m – óì

infame – ãíóñíûé

infermo – áîëüíîé

infilare – íàíèçûâàòü

iniquo – íåçàêîííûé

inseguire – ãíàòüñÿ

insolente – íàõàëüíûé

intagliare – ðåçàòü, âûðåçàòü

intenerirsi – ðàçìÿã÷àòüñÿ

interlocutore m – ñîáåñåäíèê

intimare – òðåáîâàòü

intontire – îøåëîìëÿòü

intrecciare – çàïëåòàòü

involontario – íåïðîèçâîëüíûé

inzuppare – ðàçìà÷èâàòü

irrequieto – áåñïîêîéíûé

istruire – ó÷èòü, îáó÷àòü

L

laggi? – òàì âíèçó

lama f – çàáîëî÷åííîå ìåñòî

lampeggiare – ñâåðêàòü (î ìîëíèè)

lampo m– ìîëíèÿ

languidezza f – âÿëîñòü

lastrico m – ìîñòîâàÿ

lavamano m – óìûâàëüíèê

leccarsi – îáëèçûâàòüñÿ

legnaiolo m – ïëîòíèê

lena f – äóõ, áîäðîñòü

lesto – ñêîðûé, áûñòðûé

leva f – ðû÷àã

libraio m – êíèæíûé øêàô

lisca f – ðûáüÿ êîñòî÷êà

lisciare – ïîëèðîâàòü

livido – ìåðòâåííî-áëåäíûé

livrea f – ëèâðåÿ

lucciola f – ñâåòëÿ÷îê

lucignolo m – ôèòèëü

lumaca f – óëèòêà

lusso – ðîñêîøü

lustro – áëåñòÿùèé

M

madreperla f – ïåðëàìóòð

magari – ïîæàëóé

magnifico – âåëèêîëåïíûé

malandrino m – ðàçáîéíèê

malaticcio – áîëåçíåííûé

malinconia f – ìåëàíõîëèÿ

manciata f – ãîðñòü

mangiapane m – äàðìîåä

mandorlato m – ìèíäàëüíàÿ íóãà

manesco – äðà÷ëèâûé

manico m – ðóêîÿòêà

mantello – ïëàù

mariuolo m – ìîøåííèê

marmotta f – ñóðîê

mascherone m – áîëüøàÿ ìàñêà

masticare – æåâàòü

mastino m – ìàñòèíî (ïîðîäà ñòîðîæåâûõ ñîáàê)

mattone m – êèðïè÷

medesimo – òîò æå

mellifluo – ìåäîíîñíûé

menare – âîäèòü, âåñòè

merlo m – ÷åðíûé äðîçä

midolla f – õëåáíûé ìÿêèø

minacciare – óãðîæàòü

minaccioso – óãðîæàþùèé

miseria f – áåäíîñòü, íóæäà

mobilia f – ìåáåëü

moccolaia f – íàãàð

modesto – ñêðîìíûé

moina f – ëàñêà

molestare – íàäîåäàòü

monelleria f – øàëîñòü

monello m – øàëóí

montare – ïîäíèìàòüñÿ

montone m – áàðàí

moribondo – óìèðàþùèé

mostriciattolo m – óðîäåö

moto m – äâèæåíèå

mugghiare – ìû÷àòü, ðåâåòü

muggine m – êåôàëü

mugolare – âèçæàòü

muffito – çàïëåñíåâåëûé

muratore m – êàìåíùèê

musata f – óäàð ìîðäîé

mutare – ìåíÿòü, èçìåíÿòü

N

nasello m – õåê

nastro m – ëåíòà

nausea f – òîøíîòà

nocciolo m êîñòî÷êà, îðåøíèê

noce m – îðåõ

nodo m – óçåë

nondimeno – îäíàêî

notturno – íî÷íîé

O

obbedire – âûïîëíÿòü

obbligo m – îáÿçàííîñòü

occhiata f – âçãëÿä

omaccio m – ãðóáûé ÷åëîâåê

omino m – ÷åëîâå÷åê

omone m – êðóïíûé ìóæ÷èíà

ondata f – áîëüøàÿ âîëíà

oramai – òåïåðü, íàêîíåö-òî

orbene – èòàê

ordigno – ñëîæíûé ìåõàíèçì

ortolano m – îãîðîäíèê

oste m – õîçÿèí òàâåðíû

ottone m – ëàòóíü

ozio m – ïðàçäíîñòü

P

padella f – ñêîâîðîäà

paesello m – äåðåâóøêà

paglia f – ñîëîìà

pagliaccio m – ïàÿö, øóò

palato m – í¸áî, ÷óâñòâî âêóñà

palcoscenico m – ñöåíà

paletto m – êîëûøåê, çàñîâ

palio m – çíàìÿ, áåãà

pallina f – øàðèê

palpeggiare – ëåãîíüêî ïîùóïûâàòü

palpitazione f – ó÷àùåííîå ñåðäöåáèåíèå

paniere m – êîðçèíà

panno m – ìàòåðèÿ

pantano m – áîëîòî

paonazzo – òåìíî-ëèëîâûé

pareggiare – ïîäâîäèòü èòîãè, óðàâíèâàòü

pariglia f – ïàðíàÿ óïðÿæêà

parlantina f – áîëòëèâîñòü

parrucca f – ïàðèê

paterno – îòå÷åñêèé

patire – ñòðàäàòü

patto m – äîãîâîð

pavone m – ïàâëèí

pedata f – ñëåä íîãè, ïèíîê

pelame m – øåðñòü

pelliccia f – ìåõ

penare – ñòðàäàòü

pendere – âèñåòü, ñâèñàòü

penetrare – ïðîíèêàòü

pennacchio m – äûìîê

pentirsi – ðàñêàèâàòüñÿ

pentola f – êàñòðþëÿ

penzoloni – ñâåøèâàÿñü

perditempo m – íàïðàñíàÿ òðàòà âðåìåíè

perplesso – íåðåøèòåëüíûé

persecutore m – ïðåñëåäîâàòåëü

persuadere – óáåæäàòü

pescatore m – ðûáàê

pescecane m – àêóëà

pesciolino m – ðûáêà

pettinarsi – ïðè÷åñûâàòüñÿ

pialla f – ðóáàíîê

piallare – ñòðîãàòü

piagnisteo m – íûòüå

piccare – êîëîòü

picchiare – ñòó÷àòü, óäàðÿòü

picchio m – äÿòåë

piccino – ìàëåíüêèé

piccione m – ãîëóáü

pi? m – ïîäíîæèå

pietoso – æàëîñòëèâûé

piffero m – äóäêà

pigiare – íàæèìàòü

pillacchera f – áðûçãè ãðÿçè

pino m – ñîñíà

piovigginoso – äîæäëèâûé

pipistrello m – ëåòó÷àÿ ìûøü

pissi-pissi m invar – øåïîò, øóøóêàíüå

piumato – óêðàøåííûé ïåðüÿìè

pizzicorino m – ùåêîòêà

pizzicotto m – ùèïîê

platea f – ïàðòåð

pollaio m – êóðÿòíèê

pollastra f – êóðî÷êà

polverina f – ïîðîøîê

porticina f – äâåðöà

pozzanghera f – ãðÿçíàÿ ëóæà

precipitoso – ñòðåìèòåëüíûé

prediletto – ëþáèìûé, èçáðàííûé

premura f – çàáîòà, óñåðäèå

prepotente – âñåñèëüíûé

presentimento m – ïðåä÷óâñòâèå

proiettile m – ñíàðÿä, ïóëÿ

provvidenza f – ïðîâèäåíèå

prudente – îñòîðîæíûé

pruno m – òåðíîâíèê

pulcino m – öûïëåíîê

pulimento – ïîëèðîâêà

punta f – êîí÷èê

Q

quass? – çäåñü íàâåðõó

quattrino m – êâàòòðèíî (ñòàðèííàÿ ìåëêàÿ ìîíåòà)

quercia f – äóá

quinte f pl – êóëèñû

R

rabbiosamente – ÿðîñòíî

raccapezzarsi – ðàçáèðàòüñÿ, ïîíèìàòü

raccattare – ïîäáèðàòü ñ çåìëè

raccomandarsi – äîâåðÿòüñÿ, óìîëÿòü ïîìî÷ü

raccorciare – óêîðà÷èâàòü

ragazzaccio m – óëè÷íûé ìàëü÷èøêà

ragionamento m – ðàññóæäåíèå

ragliare – ðåâåòü (ïî-îñëèíîìó)

raglio m – îñëèíûé ðåâ

rallegrarsi – ðàäîâàòüñÿ

rammaricarsi – æàëîâàòüñÿ

ramarro m – ÿùåðèöà çåëåíàÿ

rammentare – âñïîìèíàòü

ramo m – âåòêà

rantoloso – õðèïëûé

rasciugarsi – âûñóøèòüñÿ

raso m – àòëà?ñ

rasoio m – áðèòâà

rassegnarsi – ñìèðÿòüñÿ

rasserenare – óñïîêàèâàòü

rattrappito – îêî÷åíåëûé

reggersi – äåðæàòüñÿ

remo m – âåñëî

rena f – ïåñîê

reni f pl – ïîÿñíèöà

rete f – ñåòü

riaversi – ïðèõîäèòü â ñåáÿ

ribadire – çàêëåïûâàòü

ribalta f – àâàíñöåíà

ribellarsi – âîññòàâàòü

ribelle – ìÿòåæíûé

ricascare – ñíîâà ïàäàòü

ricciolo m – ëîêîí, ñòðóæêà

ricolmo – ïîëíûé, ïåðåïîëíåííûé

ricompensa f – âîçíàãðàæäåíèå

ricompensare – íàãðàæäàòü

ricomprare – ïåðåêóïàòü

riconoscenza f – áëàãîäàðíîñòü

riconsegnare – âîçâðàùàòü

ricusare – îòêàçûâàòüñÿ

rifinito – èçíóðåííûé

rifugio m – óáåæèùå

rigagnolo m – ðó÷ååê

rigato – ïîëîñàòûé

rigirare – ïîâîðà÷èâàòü, êðóæèòü

rilucente – áëåñòÿùèé, ñâåðêàþùèé

rincorrersi – äîãîíÿòü äðóã äðóãà

ringhioso – ðû÷àùèé

ripiegarsi – ñãèáàòüñÿ

ripostiglio m – êëàäîâêà, ÷óëàí

riprendere – ñíîâà áðàòü, îæèâàòü

ripulire – î÷èùàòü

risentito – îáèä÷èâûé

risparmiare – áåðå÷ü

risputare – ïëåâàòü

risolino m – ñìåøîê

ritagliare – âûðåçàòü

ritenere – ñäåðæèâàòü, îñòàíàâëèâàòü

ritto – âåðòèêàëüíûé, ñòîÿ

riva f – áåðåã

rivenditore m – ïåðåïðîäàâåö, ïðîäàâåö ñòàðüÿ

riverenza f – óâàæåíèå, ïî÷òåíèå

rivoltarsi – îáîðà÷èâàòüñÿ

rizzare – ïîäíèìàòü

rosolare – ïîäæàðèâàòü

rosolio m – ñëàäêàÿ íàëèâêà

rosseggiare – êðàñíåòü

rovesciare – îïðîêèäûâàòü

rovinato – ðàçðóøåííûé

russare – õðàïåòü

ruzzare – ðåçâèòüñÿ

S

sacchetto m – ìåøî÷åê

saetta f – ìîëíèÿ

salcio m – èâà

saltatore m – ïðûãóí

saporito – âêóñíûé

sbadigliare – çåâàòü

sbatacchiare – øâûðÿòü

sbigottimento m – èñïóã

sbucare – âûñîâûâàòüñÿ

sbucciare – ñíèìàòü êîæóðó

scagliare – áðîñàòü, êèäàòü

scalpello m – çóáèëî, äîëîòî

scampare – ñïàñàòü

scansare – èçáåãàòü, óêëîíÿòüñÿ

scappellotto m – ïîäçàòûëüíèê

scarabocchio m – ÷åðíèëüíàÿ êëÿêñà

scaraventare – øâûðÿòü

scavalcare – âûáèâàòü èç ñåäëà

scemare – óìåíüøàòü, ñîêðàùàòü

scheggia f – êóñî÷åê

scherma f – ôåõòîâàíèå, ïîëåìèêà

schiaffo m – ïîùå÷èíà

schioccare – ùåëêàòü, õëîïàòü

schizzare – áðûçãàòü

schizzi m pl – áðûçãè

schizzinoso – ïðèäèð÷èâûé

sciabola f – ñàáëÿ

sciagurato – íåñ÷àñòíûé

scimmia f – îáåçüÿíà

scioccheria f – ãëóïîñòü

sciocco – ãëóïûé

sciolto – ëîâêèé

sciupare – óïóñêàòü

scoiattolo m – áåëêà

scodato – áåñõâîñòûé

scogliera f – ãðÿäà ñêàë

scoglio m – ñêàëà

scollare – îòêëåèâàòü, äåëàòü âûðåç

scompiglio m – áåñïîðÿäîê, ñóìÿòèöà

sconclusionato – áåññâÿçíûé

scoperchiare – ñíèìàòü êðûøêó

scoppio m – âçðûâ

scordato – ðàññòðîåííûé

scorsoio – ñêîëüçÿùèé

scorticare – ñäèðàòü øêóðó

scorza f – êîðà

scossone m – âíåçàïíûé òîë÷îê

scrollone m – âñòðÿñêà

scuderia f – êîíþøíÿ

sdigiunarsi – ïîåñòü íàòîùàê

sdraiato – ðàñòÿíóâøèéñÿ

sdrucciolare – ñêîëüçèòü

sgabello m – òàáóðåòêà

sgambettare – ñáèâàòü ñ íîã

sgambetto m – ïîäíîæêà

sgocciolo m – êàïàíüå

sgridare – áðàíèòü

sguaiato – ãðóáûé

sguazzare – ïëåñêàòüñÿ, áàðàõòàòüñÿ

sgusciare – ëóùèòü, óñêîëüçàòü

secchia f – âåäðî

seduzione f – ñîáëàçí

segare – ïèëèòü

segatura f – ïèëåíèå

segnale m – çíàê, ïðèçíàê

serbare – ñîõðàíÿòü

sfolgorante – ñâåðêàþùèé

sgranare – îùèïûâàòü, ìîëîòèòü

sgranocchiare – ãðûçòü

sguaiataggine f – ãðóáîñòü

sguaiato – ãðóáûé

sfoderare – ñíèìàòü ïîäêëàäêó

sicch? – òàêèì îáðàçîì

siepe f – èçãîðîäü

singhiozzare – ðûäàòü

sipario m – çàíàâåñ

smania f – áåñïîêîéñòâî

smargiasso m – õâàñòóí

smarrito – ïîòåðÿííûé

smorfia f – æåìàíñòâî

socchiuso – ïðèêðûòûé

soddisfazione f – óäîâëåòâîðåíèå

soffermarsi – ïðèîñòàíàâëèâàòüñÿ

soffocato – çàäóøåííûé

soggezione f – ïîä÷èíåíèå

soggiungere – ïðèáàâëÿòü

sogliola f – êàìáàëà

solennit? f – òîðæåñòâåííîñòü

solletico m – ùåêîòêà

sollievo m – óòåøåíèå

somaro m – îñåë

sommesso – ñìèðíûé

sonare – çâîíèòü

sonnellino m – äðåìîòà

sonoro – çâîíêèé

sopranome m – ïðîçâèùå

sorsata f – ãëîòîê

sotterrare – çàêàïûâàòü

spalancare – ðàñïàõèâàòü

spallucciata f – ïîæèìàíèå ïëå÷àìè

spasimo m – îñòðàÿ áîëü

spasso m – ðàçâëå÷åíèå

spaventoso – óæàñíûé

spazzatura f – ïîäìåòàíèå

spelacchiato – îáëåçëûé

spellare – ñäèðàòü øêóðó

spellarsi – îöàðàïàòüñÿ, ñîäðàòü ñåáå êîæó

sperdersi – áðîñèòüñÿ âðàññûïíóþ

spezzare – ëîìàòü íà êóñêè

spianata f – ðàçãëàæèâàíèå

spiccare – îòäåëÿòü, îòðûâàòü

spicchio m – ëîìòèê

spicciarsi – ñïåøíî çàêàí÷èâàòü

spiga f – êîëîñ

spintone m – ñèëüíûé òîë÷îê

spirare – óìèðàòü

splendore m – ñèÿíèå

spogliare – ðàçäåâàòü

spollaiarsi – ïîïðàâëÿòü ïåðüÿ

spolverare – ñìàõèâàòü ïûëü, ðàçìåëü÷àòü, ïîñûïàòü

spropositato – âçäîðíûé

spuntarsi – ïðèòóïëÿòüñÿ

spuntino m – çàêóñêà

spunzone m – òîëñòûé çàîñòðåííûé êîíåö

sputare – ïëåâàòü

squallido – æàëêèé, óáîãèé

squisito – èçûñêàííûé

stagionato – çðåëûé

stagno m – ïðóä, îëîâî

stalla f – õëåâ, êîíþøíÿ

stanga – äûøëî

starnutire – ÷èõàòü

stecchito – õóäîé

stima f – îöåíêà

stinco m – ãîëåíü

stirare – ðàñòÿãèâàòü

stivaletto m – ñàïîæîê

stizzito – ðàññåðæåííûé

storcere – êðèâèòü

strapazzare – íåáðåæíî îòíîñèòüñÿ

strapazzone m – íåðÿõà, ðàçãèëüäÿé

strapparsi – ðâàòü íà ñåáå

straziante – ìó÷èòåëüíûé

stridere – ñêðèïåòü, òðåùàòü

striglia f – ñêðåáíèöà

strigliare – ÷èñòèòü ñêðåáíèöåé

strillare – îðàòü

stropicciarsi – ïîòèðàòü ñåáå

struggersi – òàÿòü, îãîð÷àòüñÿ

strofinarsi – òåðåòüñÿ

stropicciare – òåðåòü, ðàñòèðàòü

stucco m – ãèïñ, øòóêàòóðêà

stufa f – ïå÷ü

stuzzicare – êîâûðÿòü, ðàçäðàæàòü

sudato – âñïîòåâøèé

sudicio – ãðÿçíûé

superbia f – âûñîêîìåðèå

supplichevole – óìîëÿþùèé

supplizio m – íàêàçàíèå

svelto – ïðîâîðíûé

svenirsi – òåðÿòü ñîçíàíèå

svogliato – ëåíèâûé

T

tacchino m – èíäþê

tafanare – æàëèòü, èñêàòü

tagliente – ðåæóùèé, îñòðûé

tagliola f – êàïêàí

tamburo m – áàðàáàí

tappare – çàòûêàòü

tastare – ùóïàòü

tastone – îùóïüþ

teatrino m – èãðóøå÷íûé òåàòð

tegamino m – ñêîâîðîäà

tela f – òêàíü, çàíàâåñ

tempaccio m – íåïîãîäà

tempia f – âèñîê

tenerezza f – íåæíîñòü

tentennare – êîëåáàòüñÿ, øàòàòüñÿ

terreno – çåìíîé

testardo – óïðÿìûé

testina f – ãîëîâêà

tonare – ãðåìåòü

tonfo m – øóìíîå ïàäåíèå

tonno m – òóíåö

torlo m – æåëòîê

torsolo m – îãðûçîê

tosato – ñòðèæåíûé

tozzo – ïðèçåìèñòûé

traballone m – øàòàíèå

trabocchetto m – ëîâóøêà

trafelato – çàïûõàâøèéñÿ

tramontana f – ñåâåðíûé âåòåð

trappolare – ëîâèòü â çàïàäíþ

trasfigurato – èçìåíåííûé

trattarsi – îáðàùàòüñÿ äðóã ñ äðóãîì

travagliato – èçìó÷åííûé

traverso – ïîïåðå÷íûé

travicello m – òîíêàÿ áàëêà

tremito m – äðîæü

trescone m – äåðåâåíñêèé òàíåö

triglia f – ñóëòàíêà (âèä ðûáû)

trionfo m – òðèóìô

trippa f – òðåáóõà

tritato – ðàçìåëü÷åííûé

tronco m – ñòâîë

trotto m – ðûñèñòûé áåã

truciolo m – ñòðóæêà

tuono m – ãðîì

turchino – òåìíî-ñèíèé

U

ubbidiente – ïîñëóøíûé

uggia f – ñêóêà

ufo – íà õàëÿâó

uggiolare – ñêóëèòü

uggioso – ñêó÷íûé

umiliante – óíèçèòåëüíûé

untuoso – æèðíûé, ñàëüíûé

urto m – óäàð

uscio m – äâåðü, âûõîä

V

vagabondo m – áðîäÿãà

vassoio m – ïîäíîñ

veccia f – ãîðîøåê

vela f – ïàðóñ

velluto – áàðõàò

ventaccio m – ñèëüíûé âåòåð

ventura f – ñóäüáà

vetta f – âåðõóøêà

vicinato – ñîñåäñòâî, ïîáëèçîñòè

vigneto m – âèíîãðàäíèê

vile – òðóñëèâûé

violenza f – íàñèëèå

viottola f – óçêàÿ óëèöà, òðîïèíêà

virt? f – äîáðîäåòåëü

vispo – ðåçâûé

vizio m – ïîðîê

volentieri – îõîòíî

Z

zampa f – ëàïà

zanna – êëûê

zinzino m – êóñî÷åê, ãëîòî÷åê

zitto – ìîë÷àëèâûé

zoccolo m – ñàáî

zoppicare – õðîìàòü

zuccata f – óäàð ãîëîâîé

Ïðèìå÷àíèÿ

1

C’era una volta – æèë äà áûë

(îáðàòíî)

2

Non so come andasse – íå çíàþ, êàê òàê âûøëî

(îáðàòíî)

3

se non che = sennonch?

(îáðàòíî)

4

per via – èç-çà

(îáðàòíî)

5

a tempo – âîâðåìÿ

(îáðàòíî)

6

Detto fatto – ñêàçàíî – ñäåëàíî

(îáðàòíî)

7

dare un’occhiata – âçãëÿíóòü / ïîãëÿäåòü

(îáðàòíî)

8

si vede che quella vocina me la sono figurata io – î÷åâèäíî, îí ìíå ïðîñòî ïîêàçàëñÿ

(îáðàòíî)

9

si messe in ascolto – íà÷àë / ñòàë ñëóøàòü

(îáðàòíî)

10

m’? piovuta nel cervello un’idea – ìíå ïðèøëà â ãîëîâó îäíà ìûñëü

(îáðàòíî)

11

disse fra s? e s? – ñêàçàë îí ñàì ñåáå

(îáðàòíî)

12

coll’animo risoluto – ñ ðåøèòåëüíûì âèäîì

(îáðàòíî)

13

faremo i nostri conti – ìû ñ òîáîé ðàññ÷èòàåìñÿ / ÿ ñ òîáîé ïîêâèòàþñü

(îáðàòíî)

14

far capannello – ñòîëïèòüñÿ

(îáðàòíî)

15

Chi ne diceva una, chi un’altra – êòî ãîâîðèë îäíî, êòî ãîâîðèë äðóãîå

(îáðàòíî)

16

l? per l? – ñðàçó / ñåé÷àñ æå

(îáðàòíî)

17

tale e quale – íè äàòü íè âçÿòü

(îáðàòíî)

18

vale a dire – òî åñòü / çíà÷èò

(îáðàòíî)

19

ce n’? che uno solo – èç íèõ òîëüêî îäíî

(îáðàòíî)

20

mi vada a genio – ìíå íðàâèòñÿ

(îáðàòíî)

21

Intanto cominci? a farsi notte – òåì âðåìåíåì íàñòóïèëà íî÷ü

(îáðàòíî)

22

pi? che mai – áîëåå ÷åì êîãäà-ëèáî / åùå áîëüøå

(îáðàòíî)

23

Per l’appunto – êàê ðàç

(îáðàòíî)

24

per bene – äîáðîïîðÿäî÷íûé

(îáðàòíî)

25

sul far del giorno – ðàíî óòðîì

(îáðàòíî)

26

buon pro ti faccia – íà çäîðîâüå

(îáðàòíî)

27

pu? far comodo – ìîæåò ïðèãîäèòüñÿ

(îáðàòíî)

28

Pazienza! – íè÷åãî íå ïîäåëàåøü

(îáðàòíî)

29

in un soffio – â îäèí ìèã

(îáðàòíî)

30

da oggi in poi – ñ ñåãîäíÿøíåãî äíÿ

(îáðàòíî)

31

in maniche di camicia – â îäíîé ðóáàøêå

(îáðàòíî)

32

a volo – ñ ïîëóñëîâà

(îáðàòíî)

33

A ogni modo – âî âñÿêîì ñëó÷àå / òàê èëè èíà÷å

(îáðàòíî)

34

? molto che – äàâíî ëè

(îáðàòíî)

35

era sulle spine – áûë êàê íà èãîëêàõ

(îáðàòíî)

36

Stava l? l? – áûë ñîâñåì ãîòîâ

(îáðàòíî)

37

su due piedi – ìèãîì / íåìåäëåííî

(îáðàòíî)

38

da un momento all’altro – âîò-âîò / òîãî è ãëÿäè

(îáðàòíî)

39

si mandava a male – ðàçðàçèòüñÿ / ðàñòî÷àòü

(îáðàòíî)

40

Numi del firmamento! – î, íåáåñà

(îáðàòíî)

41

facendo capolino – âûãëÿäûâàÿ

(îáðàòíî)

42

in mezzo a – â îêðóæåíèè

(îáðàòíî)

43

per lo meno fanno finta – ïî êðàéíåé ìåðå ïðèòâîðÿþòñÿ

(îáðàòíî)

44

Felicit?! – áóäüòå çäîðîâû

(îáðàòíî)

45

Del resto – âïðî÷åì

(îáðàòíî)

46

cadde bocconi – óïàë íè÷êîì

(îáðàòíî)

47

con un fil di voce – åëå ñëûøíî

(îáðàòíî)

48

in disparte – â ñòîðîíó

(îáðàòíî)

49

a uno a uno – ïî îäíîìó

(îáðàòíî)

50

fuori di s? – âíå ñåáÿ

(îáðàòíî)

51

l? l? – åëå-åëå

(îáðàòíî)

52

ma per non darlo a vedere – íî ÷òîáû íå ïîäàòü âèäó

(îáðàòíî)

53

farvi venire l’acquolina in bocca – âûçâàòü ó âàñ àïïåòèò

(îáðàòíî)

54

In quel mentre – â ýòîò ìîìåíò

(îáðàòíî)

55

dar retta – ïðèñëóøèâàòüñÿ

(îáðàòíî)

56

viene i bordoni – âîëîñû äûáîì

(îáðàòíî)

57

tu dai un calcio alla fortuna – òû óïóñêàåøü ñëó÷àé / îòêàçûâàåøüñÿ îò ñâîåãî ñ÷àñòüÿ

(îáðàòíî)

58

sul far della sera – ïîä âå÷åð

(îáðàòíî)

59

altro che – òîëüêî

(îáðàòíî)

60

galletti di primo canto – ìîëîäûå ïåòóøêè

(îáðàòíî)

61

stiacceremo un sonnellino – âçäðåìíåì

(îáðàòíî)

62

strizz? l’occhio – ïîäìèãíóë

(îáðàòíî)

63

allo spuntare del giorno – íà âîñõîäå ñîëíöà

(îáðàòíî)

64

non ci si vedeva da qui a l? – àáñîëþòíî íè÷åãî íå áûëî âèäíî

(îáðàòíî)

65

Dai retta a me – ïðèñëóøàéñÿ ê ìîèì ñëîâàì

(îáðàòíî)

66

noi altri – ìû

(îáðàòíî)

67

Meno male che – õîðîøî åùå, ÷òî

(îáðàòíî)

68

Neanche per sogno. – íè÷åãî ïîäîáíîãî

(îáðàòíî)

69

in punta di piedi – íà öûïî÷êàõ

(îáðàòíî)

70

staccare di netto – îòòÿïàòü

(îáðàòíî)

71

darsi per vinto – ñäàâàòüñÿ / ïàñîâàòü

(îáðàòíî)

72

sbarare il passo – ïðåãðàäèòü ïóòü

(îáðàòíî)

73

Lascia fare – ïîçâîëü

(îáðàòíî)

74

In quel mentre – òåì âðåìåíåì

(îáðàòíî)

75

pari pari – ðîâíåõîíüêî

(îáðàòíî)

76

Di l? a poco – âñêîðå

(îáðàòíî)

77

prese in collo – âçÿëà íà ðóêè

(îáðàòíî)

78

A mio credere – ïî ìîåìó ìíåíèþ

(îáðàòíî)

79

da un pezzo – äàâíî

(îáðàòíî)

80

Da’ retta a me – ïîñëóøàé ìåíÿ

(îáðàòíî)

81

di mala voglia – íåîõîòíî

(îáðàòíî)

82

d? noia – ìåøàåò / íàäîåäàåò

(îáðàòíî)

83

scoppio di pianto – ðûäàíèå

(îáðàòíî)

84

di l? a pochi minuti – ñïóñòÿ íåñêîëüêî ìèíóò

(îáðàòíî)

85

Gli and? – òàê ñëó÷èëîñü

(îáðàòíî)

86

bene vi voglio – ÿ âàñ ëþáëþ

(îáðàòíî)

87

Non vedo l’ora di – æäó íå äîæäóñü

(îáðàòíî)

88

a un certo punto – â êàêîé-òî ìèã

(îáðàòíî)

89

di momento in momento – ñ ìèíóòû íà ìèíóòó

(îáðàòíî)

90

dare una scrollatina di capo – êà÷àòü / êèâàòü ãîëîâîé

(îáðàòíî)

91

sei cos? dolce di sale – òû òàêîé ãëóïûé

(îáðàòíî)

92

mettere insieme – íàæèòü / çàðàáîòàòü

(îáðàòíî)

93

Preso allora dalla disperazione – â îò÷àÿíèè / îõâà÷åííûé îò÷àÿíèåì

(îáðàòíî)

94

per filo e per segno – âî âñåõ ïîäðîáíîñòÿõ

(îáðàòíî)

95

rimase di princisbecco – îñòîëáåíåë

(îáðàòíî)

96

a scanso di – âî èçáåæàíèå

(îáðàòíî)

97

lungo la strada – ïî äîðîãå

(îáðàòíî)

98

non se ne dava per inteso – íå îáðàùàë âíèìàíèÿ

(îáðàòíî)

99

ricordartene per un pezzo – äîëãî áóäåøü åãî ïîìíèòü

(îáðàòíî)

100

fare uno sfogo – èçëèòü äóøó

(îáðàòíî)

101

a condizione – ïðè óñëîâèè / ñ óãîâîðîì

(îáðàòíî)

102

reggere il sacco – áûòü ñîîáùíèêîì

(îáðàòíî)

103

prese l’aire – ðàçáåæàëñÿ

(îáðàòíî)

104

Sul far della sera – ïîä âå÷åð

(îáðàòíî)

105

mangi? a strippapelle – íàåëñÿ äî îòâàëà

(îáðàòíî)

106

alla svelta – íàñêîðî

(îáðàòíî)

107

cacci? un urlo – èñïóñòèë âîïëü

(îáðàòíî)

108

a galla – íà ïîâåðõíîñòè

(îáðàòíî)

109

a mancina – ñëåâà

(îáðàòíî)

110

a patto che – ñ óñëîâèåì, ÷òîáû

(îáðàòíî)

111

? stufo – åìó íàäîåëî

(îáðàòíî)

112

a muso duro – ðåøèòåëüíî

(îáðàòíî)

113

volevano un ben dell’anima – ïîëþáèëè

(îáðàòíî)

114

Di tanto in tanto – èíîãäà

(îáðàòíî)

115

fare una brutta figura – îïîçîðèòü / ïðîèçâåñòè ïëîõîå âïå÷àòëåíèå

(îáðàòíî)

116

far il galletto – ïåòóøèòüñÿ

(îáðàòíî)

117

far civetta – ïðèãíóòüñÿ

(îáðàòíî)

118

a fior di – íà ïîâåðõíîñòü

(îáðàòíî)

119

avesse predicato al vento – ãîâîðèë âïóñòóþ.

(îáðàòíî)

120

povero diavolo – ãîðåìûêà

(îáðàòíî)

121

reggersi a galla – äåðæàòüñÿ íà ïëàâó / íà ïîâåðõíîñòè

(îáðàòíî)

122

Manco male, che – ê ñ÷àñòüþ / õîðîøî åùå, ÷òî

(îáðàòíî)

123

alla rinfusa – áåñïîðÿäî÷íî / íàâàëîì / âïåðåìåøêó

(îáðàòíî)

124

Passa via! – êûø!

(îáðàòíî)

125

facendo lo gnorri – ïðèêèäûâàÿñü äóðà÷êîì

(îáðàòíî)

126

a furia di – ñ ïîìîùüþ

(îáðàòíî)

127

a cavalcioni – âåðõîì

(îáðàòíî)

128

a secco – íåîæèäàííî / âíåçàïíî

(îáðàòíî)

129

di netto – ïîëíîñòüþ / öåëèêîì

(îáðàòíî)

130

Tienilo a mente – çàïîìíè ýòî

(îáðàòíî)

131

mogi mogi – óíûëûå

(îáðàòíî)

132

pieno stipato – áèòêîì íàáèòûé

(îáðàòíî)

133

a malapena – ñ òðóäîì, åäâà

(îáðàòíî)

134

l’albero maestro – ãðîò-ìà÷òà

(îáðàòíî)

Îãëàâëåíèå

  • 1. Come and? che Maestro Ciliegia, falegname, trov? un pezzo di legno, che piangeva e rideva come un bambino
  • 2. Maestro Ciliegia regala il pezzo di legno al suo amico Geppetto, il quale lo prende per fabbricarsi un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali
  • 3. Geppetto, tornato a casa, comincia subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio. Prime monellerie del burattino
  • 4. La storia di Pinocchio col Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noia di sentirsi correggere da chi ne sa pi? di loro
  • 5. Pinocchio ha fame e cerca un uovo per farsi una frittata; ma sul pi? bello, la frittata gli vola via dalla finestra
  • 6. Pinocchio si addormenta coi piedi sul caldano, e la mattina dopo si sveglia coi piedi tutti bruciati
  • 7. Geppetto torna a casa, e d? al burattino la colazione che il pover’uomo aveva portata per s?
  • 8. Geppetto rifece i piedi a Pinocchio, e vende la propria casacca per comprargli l’Abbecedario
  • 9. Pinocchio vende l’Abbecedario per andare a vedere il teatrino dei burattini
  • 10. I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio, e gli fanno una grandissima festa; ma sul pi? bello, esce fuori il burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre il pericolo di fare una brutta fine
  • Óïðàæíåíèÿ
  • 11. Mangiafoco starnutisce e perdona a Pinocchio, il quale poi difende dalla morte il suo amico Arlecchino
  • 12. Il burattinaio Mangiafoco regala cinque monete d’oro a Pinocchio perch? le porti al suo babbo Geppetto: e Pinocchio, invece, si lascia abbindolare dalla Volpe e dal Gatto e se ne va con loro
  • 13. L’osteria del “Gambero Rosso”
  • 14. Pinocchio, per non aver dato retta ai buoni consigli del Grillo-parlante, s’imbatte negli assassini
  • 15. Gli assassini inseguono Pinocchio; e dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande
  • 16. La bella Bambina dai capelli turchini fa raccogliere il burattino: lo mette a letto, e chiama tre medici per sapere se sia vivo o morto
  • 17. Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi: per? quando vede i becchini che vengono a portarlo via, allora si purga. Poi dice una bugia e per castigo gli cresce il naso
  • 18. Pinocchio ritrova la Volpe e il Gatto, e va con loro a seminare le quattro monete nel Campo dei miracoli
  • 19. Pinocchio ? derubato delle sue monete d’oro, e per castigo, si busca quattro mesi di prigione
  • 20. Liberato dalla prigione, si avvia per tornare a casa della Fata; ma lungo la strada trova un serpente, e poi rimane preso alla tagliola
  • 21. Pinocchio ? preso da un contadino, il quale lo costringe a far da cane di guardia a un pollaio
  • Óïðàæíåíèÿ
  • 22. Pinocchio scopre i ladri, e in ricompensa di essere stato fedele vien posto in libert?
  • 23. Pinocchio piange la morte della bella Bambina dai capelli turchini: poi trova un Colombo, che lo porta sulla riva del mare, e l? si getta nell’acqua per andare in aiuto del suo babbo Geppetto
  • 24. Pinocchio arriva all’isola delle “Api industriose” e ritrova la Fata
  • 25. Pinocchio promette alla Fata di esser buono e di studiare, perch? ? stufo di fare il burattino e vuol diventare un bravo ragazzo
  • 26. Pinocchio va co’ suoi compagni di scuola in riva al mare, per vedere il terribile Pescecane
  • 27. Gran combattimento fra Pinocchio e i suoi compagni: uno de’ quali essendo rimasto ferito, Pinocchio viene arrestato dai carabinieri
  • 28. Pinocchio corre pericolo di esser fritto in padella, come un pesce
  • 29. Ritorna a casa della Fata, la quale gli promette che il giorno dopo non sar? pi? un burattino, ma diventer? un ragazzo. Gran colazione di caff?-e-latte per festeggiare questo grande avvenimento
  • 30. Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte di nascosto col suo amico Lucignolo per il “Paese dei balocchi”
  • 31. Dopo cinque mesi di cuccagna, Pinocchio con sua gran meraviglia, sente spuntarsi un bel paio d’orecchie asinine, e diventa un ciuchino, con la coda e tutto
  • Óïðàæíåíèÿ
  • 32. A Pinocchio gli vengono gli orecchi di ciuco, e poi diventa un ciuchino vero e comincia a ragliare
  • 33. Diventato un ciuchino vero, ? portato a vendere, e lo compra il Direttore di una compagnia di pagliacci, per insegnargli a ballare e a saltare i cerchi: ma una sera azzoppisce e allora lo ricompra un altro, per far con la sua pelle un tamburo
  • 34. Pinocchio, gettato in mare, ? mangiato dai pesci e ritorna ad essere un burattino come prima: ma mentre nuota per salvarsi, ? ingoiato dal terribile Pescecane
  • 35. Pinocchio ritrova in corpo al Pescecane… chi ritrova? Leggete questo capitolo e lo saprete
  • 36. Finalmente Pinocchio cessa d’essere un burattino e diventa un ragazzo
  • Èòàëüÿíñêî-ðóññêèé ñëîâàðü

  • Íàø ñàéò ÿâëÿåòñÿ ïîìåùåíèåì áèáëèîòåêè. Íà îñíîâàíèè Ôåäåðàëüíîãî çàêîíà Ðîññèéñêîé ôåäåðàöèè "Îá àâòîðñêîì è ñìåæíûõ ïðàâàõ" (â ðåä. Ôåäåðàëüíûõ çàêîíîâ îò 19.07.1995 N 110-ÔÇ, îò 20.07.2004 N 72-ÔÇ) êîïèðîâàíèå, ñîõðàíåíèå íà æåñòêîì äèñêå èëè èíîé ñïîñîá ñîõðàíåíèÿ ïðîèçâåäåíèé ðàçìåùåííûõ íà äàííîé áèáëèîòåêå êàòåãîðè÷åñêè çàïðåøåí. Âñå ìàòåðèàëû ïðåäñòàâëåíû èñêëþ÷èòåëüíî â îçíàêîìèòåëüíûõ öåëÿõ.

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